Paola si trova sotto la soglia dei 15 mila abitanti. Si andrà a votare alle imminenti elezioni amministrative con il turno unico. Il dato è preoccupante. Significa che la città sta vivendo un lento declino.
I giovani quando trovano lavoro emigrano e si stabiliscono nelle regioni del nord. I genitori li seguono a ruota vendendo le abitazioni di proprietà per accudire i nipotini. Gli esercizi commerciali abbassano le saracinesche, gli uffici pubblici chiudono. La ferrovia fonte di lavoro per diverse generazioni è stata ridimensionata nei suoi impianti. L’economia langue insieme al turismo che non è mai decollato. Si vive di pensioni.
Eppure le millanterie non sono mai tramontate.
Il Porto è sempre quello delle nebbie, con finanziamenti pubblici sperperati per favorire interessi personali. La politica è diventata una macedonia, dove destra e sinistra si confondono per generare un frullato dal sapore rancido. Ora si ritorna alle urne con le facce di sempre e le maschere che si ripropongono con il vestito di Arlecchino o Pulcinella.
Chi è rimasto non traguarda speranze e nemmeno lotta per il proprio futuro. Ci si accontenta del quotidiano benessere garantito. La protesta è un lontano ricordo degli anni ’60 e ’70. Vivono e sopravvivono i poteri costituiti, ovvero le vecchie famiglie che si tramandano i privilegi di una nobiltà decaduta, insieme ad un clero e monaci che della carità cristiana ne hanno letto solo sul Vangelo.
Questa oggi è Paola. Si spera nella indignazione per sovvertire l’esistente. Solo l’intento sarebbe rivoluzionario.