A volte si ha bisogno di aggrapparsi ad un qualcosa, che sia un dio, una luce, un pensiero. Quando tutto ti scorre male, quando sei in fondo ai tuoi guai, quando il fiato di una brutta malattia ti sta sul collo, quando vedi piangere di sofferenza una persona che ami, quando non credi più a nientedimeno, hai il bisogno necessario di credere in qualcosa, per dare, o per meglio dire, sforzarsi di dare un senso veramente valido alla propria esistenza. Forse è per questo che i fedeli credono in una fede che non ha corpo, che non si vede, la che si sente e basta, quando ne hai la necessità. Quello cristiano soprattutto, è un dio buono, gioisce per le tue gioie e soffre assieme a te per le tue sofferenze. Questo è uno dei concetti religiosi più enigmatici da capire. Non bisogna per forza comprenderlo, bisognerebbe solo crederci. Il più delle volte, quando stiamo male, incolpiamo sempre qualcuno, un po’ così, per dare una giustizia alle nostre pene, ci spingiamo persino a dare la colpa ad un dio che diciamo tanto di pregare. Colpa del destino, un po’ per dire, colpa di colui che manovra tutto, il corso delle cose, le interruzioni di una qualsiasi strada di vita, l’ inizio e la fine di un qualcosa di esattamente importante. Invochiamo Dio, quasi sempre per incoraggiarci e cioè per quando ci sembra di non vedere la via di scampo, per fare con noi, una specie di separazione dei mari come ai tempi di Mosè, invece al contrario, quando tutto va bene, ci scordiamo completamente di lui. Qualsiasi cosa accada Dio è sempre lì. È questa la sua bellezza, quando tutti scompaiono, lui compare, come un piccolo arcobaleno sulla tua vita. Lui può darti pace, non la pace nel mondo, bensì quella interna, che viene da dentro e che rende migliore l’ intero universo. Sentiamoci meno onnipotenti, non lo siamo. Una preghiera non fa mai male, non può che riaccendere il bagliore di speranza nascosto in noi.
Dio: luce di speranza a intermittenza
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