Di Francesca Lagatta

Era uno dei dirigenti più in vista e forse tra i più attivi della sanità cosentina, ma ha pagato a caro prezzo per non aver tenuto la bocca chiusa e per non aver ceduto alle lusinghe e alle promesse della parte politica che, un anno e mezzo fa, chiedeva aiuto per accaparrarsi uno scranno in parlamento usando i canali sanitari della provincia. Ospedali, cliniche, ambulatori, uffici. Tutti, o quasi, dovevano obbedire agli ordini, pena, come nel caso del protagonista di questa storia, il declassamento, l’umiliazione, l’emarginazione. L’isolamento, soprattutto. Il dirigente di cui vi stiamo per parlare è stato sollevato dal suo incarico una manciata di settimane prima delle elezioni politiche del 2018 e sostituito con un altro che, guarda caso, è iscritto al partito che in quel momento aveva pieno controllo sul ristretto gruppo del vertice dirigenziale dell’Asp di Cosenza. Il Partito Democratico.

Da dirigente di spicco a “scalda sedia”
Al dirigente in questione viene ridotto lo stipendio a circa 3mila euro mensili e viene mandato a dirigere un nuovo ufficio. Ma per i suoi superiori il primo spostamento non è sufficiente, così, dopo appena tre mesi, viene mandato a dirigere un altro ufficio, ma stavolta a diversi chilometri da casa. Intanto, però, il forte disagio che gli ha provocato la sua vicenda lavorativa lo ha fatto ammalare e nel nuovo ufficio non prenderà mai servizio, rimanendo in malattia per 9 mesi. Una condizione clinica ampiamente certificata e, come detto, strettamente legata alle nuove condizioni di lavoro.
Così non può continuare e dunque, nella scorsa primavera, viene trasferito nuovamente, in un altro ufficio, ma stavolta senza incarico. In teoria deve lavorare per 38 ore settimanali, in pratica è chiuso in una stanza di pochi metri quadrati a guardare il soffitto. Non fa nulla da mattina a pomeriggio. Non dirige nulla, non organizza nulla e non sbriga pratiche. A conti fatti, riscalda la sedia.

Spreco di denaro pubblico
Lo rivela il contenuto di un documento, che lo stesso invia al suo diretto superiore e, per conoscenza, all’azienda sanitaria provinciale, per protestare contro questa assurda situazione. «Riscaldo la sedia per 38 ore settimanali – è scritto nella nota – in considerazione del fatto che la sua disposizione di servizio non ha determinato alcun coinvolgimento della mia persona da parte di chicchessia».

Viene pagato per non fare nulla, mentre su tutto il territorio provinciale si muore per la mancanza di organizzazione sanitaria. Si muore soprattutto per i tagli indiscriminati di personale e materiali, ma in questo caso i soldi ci sono, anche se rappresentano un inutile spreco. «Le chiedo – dice il dirigente, rivolgendosi al destinatario della lettera – di rappresentare alla Direzione strategica la necessità di altro mio utilizzo anche per non gravare, inutilmente, sul suo centro di costo».

La risposta
A risponderle, qualche giorno dopo, è il suo superiore, il quale riconosce la legittimità della richiesta e assicura, pertanto, che la affronterà con giusto «spirito aziendalistico», addossando le responsabilità all’attuale commissario Asp protempore di Cosenza, Sergio Diego. Ma sono passate già diverse settimane e dall’Asp di Cosenza non si è fatto vivo nessuno.

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