Di Francesca Lagatta
Il servizio della “iena” Gaetano Pecoraro sulla sanità calabrese ha scandalizzato tutti. Non tanto per aver mostrato senza filtri le condizioni di fatiscenza in cui versano i nostri ospedali, nel caso specifico Locri e Polistena, ma per quell’accostamento alla ‘ndrangheta che, per incisività e concretezza, è sembrato un invidiabile atto di coraggio. In effetti è così, Pecoraro di coraggio ne ha vendere, perché immagino sappia bene cosa significhi denunciare il più grande business di una terra consegnata mani e piedi nelle mani dei boss della mala. Quel che forse la gente non sa, è che il 34enne palermitano ha (finalmente) acceso i riflettori su una questione che è già assai nota, anche nelle procure.
Quelle denunce cadute nel vuoto
«Continuate a denunciare», ci ripetono ogni giorno ad ogni occasione, «continuate ad avere fiducia nelle istituzioni», ma purtroppo gli slogan a volte sembrano stridere con la realtà. I calabresi non sono omertosi come raccontano gli stereotipi. Negli ultimi anni, sui tavoli dei procuratori denunce sulla sanità ne sono arrivate a centinaia, forse a migliaia, circa 500 solo per mano dei parlamentari cinquestelle, che puntualmente hanno segnalato abusi, soprusi, episodi eclatanti e legami ambigui corredando gli esposti con tanto di dettagliata documentazione. Di quegli esposti però non è rimasto che il ricordo, così come quelli presentati dai numerosi cittadini, a parte qualche rara, rarissima eccezione. Possibile che per l’evidente sfascio della sanità calabrese e l’inarrestabile spreco di denaro pubblico a favore delle strutture private non ci sia nessun colpevole?
La politica il collante tra criminali e sanità
Sanità e ‘ndrangheta, dicevamo, un binomio garantito dalla politica con le mani in pasta, quella con un piede nelle istituzioni e l’altro nell’onorata società, la cui preoccupazione è quella di preservare gli affari del settore privato sottraendo prestazioni e utenza al settore pubblico. E’ per questo, forse, che negli ospedali statali si rompono di continuo le apparecchiature, è per questo che non vengono riparate, che non vengono sostituite. E’ sempre un caso che i servizi degli ospedali pubblici si riducano maggiormente quando nei paraggi la salute può essere comprata sborsando fior di quattrini?
La bomba inesplosa dell’ex ministro Fioroni
A sostenere l’ipotesi che la ‘ndrangheta ruoti attorno agli affari della salute, non sono solo le recenti inchieste giornalistiche (quelle locali ne fanno menzione già nel 2015). Il 19 maggio 2017 l’ex ministro Beppe Fioroni prende parte a un comizio del paolano Graziano Di Natale, impegnato all’epoca nella campagna elettorale che lo vedrà poi diventare presidente del consiglio comunale della città di San Francesco. In piazza del Popolo a Paola, Fioroni non mostra solo la sua vicinanza al candidato dem, ma coglie anche l’occasione per parlare ai cittadini della questione sollevata da Pecoraro. «Da medico – dice testualmente al microfono – so bene che la sanità pubblica costa meno e non può finire nelle mani delle lobby. La sanità privata invece finisce spesso nella rete delle consorterie mafiose grazie a quei politici che fanno da tramite». Quei politici, spiega ancora l’ex ministro del governo Prodi, devono essere cacciati a calci dalle istituzioni e non devono più metterci piede. Perché evidentemente ce ne sono e perché evidentemente Fioroni lo sa. Ma quelle parole, che per bocca di un uomo che ha rappresentato lo Stato per tanti anni dovevano diventare una “bomba”, moriranno sorprendentemente in quella stessa piazza.
Ma di chi stava parlando Beppe Fioroni? E perché chi cerca di indagare finisce sotto indagine come un criminale, mentre i criminali vengono lasciati liberi di fare affari con i boss sulla pelle della povera gente? Servirà finalmente l’inchiesta de “Le Iene” a insinuare qualche dubbio nelle menti dei procuratori di casa nostra?