Si sarebbe potuto evitare, se solo qualcuno avesse impedito l‘emorragia di fondi. È questo ciò che trapela dal faldone di documenti inerenti al tracollo economico finanziario della clinica privata di Belvedere Marittimo,di proprietà della famiglia Tricarico Rosano. Il fallimento della società titolare, intesta a Istituto Ninetta Rosano Srl (Inr), rientra a pieno titolo nelle pagine più buie della storia della sanità cosentina. Il gioiello sanitario belvederese, che ha strappato alla morte centinaia di persone dopo le chiusure e i tagli imposti dal Ministero alle strutture pubbliche del Tirreno cosentino, lo scorso anno è finito in vendita all’asta per 31 milioni di euro, perché negli anni sono stati accumulati debiti per oltre cento milioni di euro. Nonostante l’accreditamento regionale, il flusso altissimo di pazienti e gli aiuti da parte dei vertici della sanità e della politica.

Sospetta bancarotta fraudolenta

L’Inr gestisce lo stabile fino al 2010, poi la società viene soppiantata da una nuova, la Casa di cura Tricarico Rosano (Ctr) fino al maggio 2018, meno di due mesi prima della sentenza, quando dopo sette anni e mezzo di inattività, e contro la legge, l’Inr torna a capo della gestione della clinica. Giusto il tempo di aggiustare le carte e scaricare sulla spesa pubblica i debiti del Tfr, che altrimenti avrebbe dovuto sobbarcarsi la Ctr. Ma la procura di Paola non rimane indifferente e dieci giorni dopo la pronuncia del giudice della sezione fallimentare del tribunale, incarica gli uomini della guardia di finanza di effettuare una serie di perquisizioni in case e uffici, pubblici e privati, che fanno riferimento a soggetti in qualche modo riconducibili alla clinica belvederese. Il magistrato Pierpaolo Bruni sospetta che il fallimento sia un artefizio e indaga per il presunto reato di bancarotta fraudolenta.

Le indagini

Sarà la magistratura a sbrogliare i fili dell’ingarbugliata matassa e capire se ci sia stata o meno un’azione fraudolenta, se la distrazione di fondi sia parte di un piano maligno o di un calcolo sbagliato, e soprattutto bisognerà capire se chi doveva vigilare sull’andamento economico della clinica era in grado di svolgere il suo ruolo o ha dato il colpo di grazia ai conti. Di certo c’è che nella vicenda le stranezze sono molteplici e molte sono al vaglio degli inquirenti. Per questo, sei mesi di investigazioni non sono bastati e a novembre scorso è stata chiesta e ottenuta una proroga per andare a fondo alla questione.

Il caso del doppio pagamento all’amico socio-dipendente

Nella miriade di controversie emerse, risulta anche un pagamento a un dipendente della clinica, che potrebbe aver tratto in inganno anche lo stesso tribunale di Paola.

Andiamo per ordine. L’11 luglio 2014 viene sottoscritto un accordo di saldo e stralcio per estinguere un debito relativo a pagamenti arretrati e tfr. Il debitore è la società Inr, il creditore è dipendente della clinica, un medico in stretti rapporti con la famiglia Tricarico, testimoniati da una comprorpietà di un’altra società che opera sempre nel settore della salute. Alla data del 31.12.2010, quando la società titolare Inr sta per cedere il passo alla Ctr, il credito per il tfr ammonta a  € 73.915,94, ma è specificato che la somma «comprende buona parte di quanto versato e accantonato alla Caimop, un fondo pensionistico complementare». Il dipendente dichiara inoltre che alla stessa data vanta crediti stipendiali pari € 29.091,00. Per queste cifre, dice di aver già ricevuto un anticipo pari a € 44.336,00. Per archiviare la pratica il medico chiede un saldo e stralcio di € 7.000,00, di cui € 5.000,00 subito e i restanti € 2.500,00 euro nei successivi 30 giorni. Le parti, concordi, dichiarano che con la sottoscrizione del documento non hanno null’altro a pretendere a qualsiasi titolo. Debito estinto. O almeno così sembrerebbe, perché quattro anni più tardi, a fallimento decretato, il dipendente torna a chiedere le sue spettanze insinuando la domanda di ammissione al passivo, l’iter con cui i creditori di una società fallita attingono dai fondi residui. Il tribunale di Paola, ignaro di quanto avvenuto in precedenza, autorizza un pagamento molto simile alla quota Tfr a cui si fa riferimento nell’atto di quattro anni prima ed è specificato che la cifra, da pagare in via di privilegio, «attiene all’importo maturato fino al 31.12.2006». Dunque, se il debito maturato fino al 31.12.2010 era stato estinto, come dimostrano un documento e la fotocopia di un assegno, perché il dipendente torna a chiedere dazio? Ad ogni modo, pare che i casi simili siano numerosi.

Il ruolo del curatore Fernando Caldiero

Ma se così fosse, se il pagamento non doveva essere autorizzato, chi e perché doveva informare il tribunale di Paola su quanto stava accadendo? La risposta risiede nei commissari giudizialiFernando Caldiero e Pasquale Di Martino, nominati dallo stesso tribunale. Nella relazione consegnata il 5 febbraio 2018 relativa alle spettanze dei dipendenti alla data del 16.11.2016, scrivono: «Per quanto riguarda il passivo, si è proceduto, in conformità a quanto disposto dall’art. 171 l.fall., alla verifica dell’elenco dei creditori sulla base dell’esame delle scritture contabili. Tale attività ha consentito di verificare la corrispondenza dell’elenco alle risultanze delle scritture contabili».

Caldiero, tra l’altro, i conti della clinica dovrebbe conoscerli bene perché da commercialista per lunghi anni ne ha curato la parte finanziaria intrattenendo anche i rapporti con i principali istituti bancari.

I legami tra Caldiero, il medico e il collegio sindacale

Le responsabilità di eventuali false dichiarazioni sulle spettanze, ricadrebbe in parte anche sul collegio sindacale, che ha relazionato sulla veridicità dei dati di bilancio e quindi avrebbe legittimato i debiti verso i dipendenti. Ma non è tutto. Il dipendente che ha ricevuto il presunto doppio pagamento è di Cetraro, come Caldiero, ed è parente di un componente del collegio, Maria Aita (peraltro anche lei di Cetraro, già assessore al bilancio proprio del Comune di Cetraro), nominata con atto del 22 dicembre 2017 unitamente ad Alessandra Sganga, figlia di Giorgio Sganga, presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Paola. Di cui è vicepresidente Fernando Caldiero.

Il caso dell’Audi acquistata dal cugino

E’ il 27 novembre 2012. La casa di cura gestita ormai dalla Ctr intestata a Fabrizio Tricarico Rosano, figlio del dottore Ciro Tricarico Rosano, nonostante il cambio di società è in piena crisi finanziaria. Ciò non impedisce alla società di acquistare un’Audi B8 di seconda mano alla modica cifra di 50mila euro. L’ex proprietario è il cugino e socio Giovanni Tricarico Rosano, figlio del dottore Pasqualino Tricarico Rosano, fratello di Ciro. Questi ultimi due entrambi dipendenti della clinica. E l’auto, che dovrebbe essere in dotazione alla clinica, da quelle parti si è vista raramente.

Francesca Lagatta per LaCnews

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