Di Emiliano Morrone, da il Corriere della Calabria
Riceviamo e Pubblichiamo
Carlo Tansi si dichiara vittima di una burocrazia tentacolare che, ripete, gode di vecchi privilegi e ostacola il rinnovamento della Protezione civile della Calabria, della quale è il capo.
Nella veste, per anni il geologo, professore incaricato e ricercatore del Cnr ha avvertito, ammonito, inveito, puntato il dito contro un sistema rugginoso e perpetuo, rinchiuso nel palazzo delle carte, nella colossale “Cittadella” che domina sul deserto atemporale dell’amorfa Germaneto.
Si tratta di un apparato «liquido», volendo abusare di un aggettivo “globalizzato” dal lavoro intellettuale di Zygmunt Bauman, capace di mutare a convenienza, di adattarsi a tutte le forme della politica nostrana, di sopravvivere ai cambiamenti, ai venti e terremoti che con corsi e ricorsi, se non con l’«eterno ritorno di Nietzsche», scuotono le strutture oscillanti del potere nostrano, infine per ribadire e consegnare l’essenza greve del gattopardismo: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima».
Malgrado le bordate di Tansi, però, non abbiamo mai potuto conoscere, pur se attenti ai suoi messaggi virali su Facebook, carichi di pathos e volontà di rottamazione, i nomi di battesimo dei nemici, dei “colletti” di cui ha scritto e parlato con riferimenti troppo vaghi, accompagnati da immagini e motti di sicura potenza evocativa: «ombre nere», «plotone di esecuzione», «era già tutto previsto», «sarà un boomerang» e vari richiami alla zona grigia, alla giustizia terrena o alla legge del contrappasso.
Nell’attività di fustigatore dei costumi amministrativi dop, Tansi non ha mancato di censurare suoi «coetanei», definendoli «figli di papà» in quanto «hanno avuto padri illustri o facoltosi che hanno costruito il loro futuro». A costoro egli ha rimproverato di non aver «conosciuto il sacrificio», di non essere «all’altezza dei loro padri», catalogandoli come «mediocri professionisti o impiegati in carrozzoni o imprenditori falliti». A seguire la chiosa, assieme amara e vera: «Molti di loro occupano posizioni importanti nella pubblica amministrazione, rappresentando una delle cause principali del mancato sviluppo della nostra Terra». Un elogio implicito della meritocrazia, in genere reietta nella Calabria della «società sparente», in cui lo spopolamento è talmente netto da non essere inquadrato né vissuto, e dunque si ricaccia come iattura fantasiosa. Qui campano bene soprattutto i parenti, gli amici, i figliocci, i portavoti, i lacchè dei signori degli anelli o di loro marescialli e giannizzeri. Per codesti soggetti le porte si aprono a comando; per gli altri spesso non resta che la rassegnazione o la partenza, la fuga, l’oblio, la prigione dell’anima; in ogni caso la rinuncia a un futuro aperto in casa propria.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, se non fosse che Tansi è ormai un guru, una bandiera, un modello condiviso nel variegato mondo dei social, sicché le sue affermazioni hanno un impatto, una presa, un seguito crescente, in teoria perfino politico.
Tansi mi obietta che ha il diritto di esprimere la propria opinione, ma qui il discorso non è giuridico né filosofico, non riguarda l’articolo 21 della Costituzione né il suo sviluppo storico. Sino all’improbabile sostituzione, il geologo non è mio zio Ciccio, pensionato che attacca tutti e perciò nessuno, e non ha il ruolo di Selvaggia Lucarelli o del mio amato compaesano Alfonso Luigi Marra.
Bisogna allora chiedersi se il responsabile della Protezione civile calabrese possa inveire a cadenza fissa sulla sua bacheca Facebook, così generando, magari inavvertitamente o forse con certa consapevolezza, la convinzione che la burocrazia circostante sia marcia per intero e che nel contesto debba combattere come il povero don Chisciotte, addirittura contro untuosi consiglieri regionali e con il solo governatore Mario Oliverio a incoraggiarlo, a proteggerlo dalle paure delle ipocondrie e di inverosimili ritorsioni.
Tansi narra di sé, ma non circostanzia. Almeno sulla piattaforma di Zuckerberg, che il più delle volte partorisce eroi senza ferite, martiri del male indefinito e condottieri privi di meta. Tansi racconta di un declino amministrativo evidente ma omette di precisare che esso è figlio del declino politico, cui non è estraneo il suo dante causa, il governatore Mario Oliverio, che legittimamente si è portato mezza San Giovanni in Fiore a Catanzaro; che ha deciso di mantenere il capo del suo Gabinetto nonostante rinviato a giudizio; che ha lasciato nelle stanze dei bottoni buona parte dei dirigenti già in sella con Giuseppe Scopelliti e predecessori; che, secondo fonti ministeriali e parlamentari, evitando la richiesta selezione pubblica ha riconfermato il soggetto attuatore per la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico; che non ha avuto il fegato di chiarire se il direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria abbia o meno i titoli per il magnifico incarico assegnatogli; che, per esempio, non ha proferito parola sui finanziamenti per la sua ultima campagna elettorale e che ha speso 100mila euro per una giornata di gloria al Festival di Spoleto.
Caro Tansi, possiamo dirla tutta? I bimbi imparano, dopo le prime parole, la logica del «tertium non datur». Capiscono, poi, che tra la nutella e il formaggino è meglio la prima. Pertanto scegliamo: o la nutella o il formaggino. Fuori della metafora, tu hai significato al mondo, e da ultimo da Giletti, che deve alzare l’audience a prescindere, di essere preda di un esercito di squali pronti all’attacco. Non credo affatto che la Regione Calabria e la sua Protezione civile siano infestate in ogni dove, da cima a fondo. La conseguenza logica sarebbe una: dovresti voltare le spalle e andartene, come «’u lupu» del poeta dialettale Pasquale Spina.
Nello specifico c’è a mio avviso una confusione di compiti e funzioni, tipica della postmodernità, che ci ha imposto di essere flessibili e in uno ci ha indotto al narcisismo oltre i 15 minuti di celebrità teorizzati da Andy Wharol. Non poteva prevederlo in questi termini il mio amico Gianni Vattimo, quando nel lontano 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, licenziò “La società trasparente”.
Il vertice della Protezione civile sta, opera sul campo. I commenti dovrebbe lasciarli agli osservatori, agli utenti. Da sempre le denunce si formalizzano con precisione, come fece il compianto cardiochirurgo Attilio Renzulli, uno che di vite umane ne salvò tante e prese pugnalate micidiali senza mai celebrarsi, sino a morire dimenticato dalla sua stessa università.
Facebook è un non luogo, nel quale tutti possiamo descriverci come ci aggrada, senza però scordare, nel nostro intimo, la lezione di Giambattista Vico: «verum et factum reciprocantur seu convertuntur».
Io, che non sono Dio, ritengo che la coerenza parta dalle affermazioni pubbliche, dal loro rigore formale, dalla loro durevolezza. Intelligenti pauca.