Di Antonello Troya
E’ lo stereotipo del meridionale. E se è calabrese ancora meglio. Chi l’ha studiata ha pensato bene di mettere nella valigia il provolone, quello buono.
Scenario perfetto: il figlio che riceve una telefonata alla vigilia di Natale che annuncia l’assunzione in una grande azienda. Entrano in camera madre, padre e sorellina. Il giovane dà la notizia: “Sono stato assunto. Domani parto”. La preoccupazione della madre è l’incombenza della festività. Il figlio deciso prepara le sue cose. Alla madre il compito della valigia. Dentro anche il provolone. Quello buono, quello piccante. Ma che mal si concilia con la camicia. Quella che il figlio dovrà indossare il suo primo giorno di lavoro. Macché, niente provolone e affini: il padre toglie dalla tasca la tessera che permetterà al figlio di acquistare i prodotti al supermercato. Quella grossa catena alimentare che pensa ai nostri figli. Quelli lontani da casa. Altro che nonne e mamme.
Nello scenario illustrato finisce il giovane meridionale stereotipato dall’idea che nella valigia, quando partono per andare al nord, all’università o fuori per lavoro si trovi lo spazio per provoloni e affini. Dove gli affini sono olive ammaccate, melanzane sott’olio, la pancetta e l’immancabile salsiccia. Ma si sa, ad ogni stagione la sua culinaria particolarità. E allora vedi che a settembre il giovane che parte si ritrova anche con la scatola piena di concentrati di pomodoro e pelati. Le ormai famose “bottiglie”, da maneggiare con cura. E vogliamo parlare del cedro? Del limoncello? Del nocino? Del fragolino?
È l’immagine che il meridionale ha dato di sé in questi scampoli di lustri dove accanto al provolone c’è una laurea con tanto di lode. E se va bene anche un master con il pieno di voti. Ma a dirla tutta non vorrei polemizzare sull’immagine del provolone. Mi soffermerei più sul suo sapore: l’arte casearia calabrese va al di là di ogni logica prestampata del filato industriale. Volete mettere un provolone silano con quello della pubblicità? Ma per cortesia. E delle mozzarelle vogliamo parlarne? Senza nulla togliere agli affumicati campani, ma anche quelli calabresi fanno la loro superba figura. Totò e Peppino, nel loro viaggio a Milano sono stati i precursori di ciò che poi sarebbero diventati pregiudizi e anche un po’ retrogradi.
Rimane solo il gesto meraviglioso di una madre che si preoccupa del figlio. Quando torni a casa e ti abbraccia, prima ancora di chiederti come stai, pronuncia le fatidiche parole: “Ma come sei sciupato. Ma stai mangiando?”