Le scuole medie, Riccardo, le ha viste solo da lontano. Quel giorno di settembre è arrivato davanti al cancello dell’istituto, l’ha fissato per alcuni secondi e poi se ne è andato. Per lui non ci sarebbero stati libri, compagni, compiti in classe. Aveva 12 anni e una sola necessità: farsi di coca e farlo in fretta.
Oggi Riccardo, 16 anni appena compiuti, tossicodipendente da quattro, in fuga da tre diverse comunità terapeutiche, praticamente analfabeta, fa parte di quella generazione di ragazzi interrotti che aumenta giorno dopo giorno.
Bambini che a 8 anni hanno già sperimentato le droghe più devastanti: colla e solventi. Tredicenni che si prostituiscono per una dose, rimangono incinte e sono costrette ad abortire. Adolescenti legati con le cinghie ai letti di contenzione, sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori negli ospedali psichiatrici per adulti. Eroina non più fumata ma sparata direttamente in vena, così che a 13 anni hanno già il corpo massacrato dai buchi delle siringhe, si ammalano di epatite e Aids, come i vecchi tossici negli anni Ottanta.
Emergenza droga, dipendenti sempre più piccoli
Le loro storie, raccolte dall’Espresso, fanno rabbrividire. Sono contenute nei verbali delle forze dell’ordine che ogni giorno prestano servizio nelle piazze dello spaccio e nei boschi della droga. Sono scritte nero su bianco nelle relazioni dei Tribunali per i minorenni. Escono dalla bocca di quegli stessi ragazzi che a fatica accettano di parlare, dalle comunità dove stanno cercando lentamente di riemergere dagli abissi della tossicodipendenza.
Un’emergenza alla quale il nostro Sistema sanitario nazionale non riesce più a stare dietro. Secondo i dati ottenuti dall’Espresso, da Nord a Sud la presa in carico da parte dei Servizi sanitari locali dei minori che fanno uso di droga negli ultimi 5 anni è quasi ovunque raddoppiata. Anche i Tribunali per i minorenni – sia civili che penali – registrano un’impennata di baby consumatori: quasi tutti italiani, iniziano ad assumere droga in media a 12 anni.
Mentre le comunità terapeutiche per minori con problemi psichici causati dalle droghe – il vero fenomeno di questi ultimi anni – si contano sulle dita di una mano. E così i bambini tossicodipendenti con disagi mentali spesso sono trasferiti a centinaia di chilometri di distanza dalle loro famiglie in luoghi non idonei. O trattenuti in reparti neuropsichiatrici per adulti, dove non potrebbero stare.
L’impennata dei Serd
In tutta Italia – secondo i dati elaborati dal Dipartimento per la giustizia minorile del ministero della Giustizia – i minori e i giovani adulti (dai 18 ai 25 anni) attualmente in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni sono 20.466, di cui oltre 7 mila nuovi arrivi solo nell’ultimo anno. Negli ultimi 12 mesi, quelli collocati nelle comunità dell’area penale – fra cui i minori che hanno commesso reati in materia di stupefacenti – sono stati 1.837, con un aumento di quasi 300 unità rispetto al 2015. Poco più di cento, invece, quelli ricoverati in apposite strutture per disintossicarsi. Quando si tratta di minorenni infatti – i magistrati sono i primi ad ammetterlo – le comunità sono solo l’estremo rimedio. Nella maggior parte dei casi i ragazzi vengono indirizzati verso i Serd, i servizi pubblici per le dipendenze patologiche. Ed è anche qui che i numeri degli under 18 in cura negli ultimi anni hanno avuto un’impennata, al punto che alcune Regioni si sono dovute attrezzare con dipartimenti riservati solo agli adolescenti e con la nascita di strutture private, ormai sempre più diffuse.
Ma si tratta ovviamente di una panoramica sottostimata: mancano all’appello tutti i ragazzi che non sono entrati nel circuito dei tribunali e che si sono rivolti direttamente a strutture terapeutiche private. O che sono totalmente sconosciuti ai servizi sociali.
In Lombardia il fenomeno è in continua crescita. A Milano nonostante le ripetute operazioni di polizia resiste il bosco della droga di Rogoredo, una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Le dosi di eroina vendute a prezzi stracciati – fino a 2 euro al grammo – richiamano ogni giorno adolescenti da ogni parte d’Italia. Quando non bastano i soldi, le dosi vengono pagate con la prostituzione. Non di rado, spiegano dal commissariato Scalo Romana, i fidanzatini arrivano in coppia, ma poi mandano avanti la ragazza, che ritorna dal bosco stravolta e in stato confusionale. Mentre all’ospedale Mangiagalli, racconta un’operatrice in forza agli uffici per la 194, sono sempre di più le ragazzine tossicodipendenti che si rivolgono alla clinica milanese per abortire dopo rapporti sessuali avvenuti sotto effetto della droga. I dati parlano chiaro: solo nell’ultimo anno i minorenni presi in carico dai servizi ambulatoriali della Lombardia per la cura delle dipendenze sono stati quasi novecento. Più che raddoppiati rispetto a cinque anni prima. Tanto che per correre ai ripari l’assessorato regionale al Welfare guidato da Giulio Gallera ha aumentato di 6 milioni di euro le rette destinate alle comunità. Strutture che, spiega l’assessore, devono essere ripensate per fronteggiare questa nuova emergenza sociale.
Il discorso cambia di poco nel Lazio. Gli under 18 in cura per tossicodipendenza sono schizzati a quasi 300 nell’ultimo anno. Erano 78 cinque anni prima.
La situazione è difficile anche in Emilia Romagna: i ragazzi che hanno avuto accesso ai Servizi per le dipendenze sono quasi raddoppiati, passando da 207 casi a 389. Qui attualmente esiste una sola comunità terapeutica pubblica riservata ai minori e accreditata dalla Regione, in provincia di Forlì-Cesena, che accoglie 12 ragazzi. Mentre la storica San Patrignano, sui colli del Riminese, fra i suoi 509 ospiti accoglie in tutto 177 giovani, fra cui minori di appena 13 anni. Ragazzi che provengono da tutta Italia, per i quali i servizi sociali dei Comuni di appartenenza rimborsano una retta di 100 euro al giorno. «Fra i 34 minorenni presenti da noi in questo momento, 30 di loro sono arrivati solo nel corso dell’ultimo anno», spiega il Presidente di San Patrignano Antonio Tinelli, «rispetto a 5 anni fa, per quanto riguarda i minori, c’è stato un aumento di ingressi del 70 per cento». In Veneto, invece, sono circa mille i ragazzini in cura nei 38 Serd della Regione. Alcuni di loro hanno appena 11 anni. Mentre a Trieste per far fronte al problema è nato il primo servizio per la cura delle dipendenze riservato esclusivamente ai più giovani, dove sono già in cura 170 ragazzi.
Negli ultimi anni, poi, vista la difficoltà a trovare posti letto liberi nelle comunità pubbliche o del privato accreditato, stanno crescendo a vista d’occhio anche le costosissime cliniche “rehab” su modello anglosassone. Al momento se ne contano una cinquantina. Fra queste ci sono i 10 centri Narconon ispirati alla dottrina di Scientology, che chiedono alle famiglie dei pazienti rette da oltre duemila euro al mese.
Comunità assenti al Centrosud
Ma il problema per i minorenni tossicodipendenti non è più solo la droga. Sono soprattutto le patologie psichiatriche, spesso scatenate dal policonsumo, l’utilizzo di più droghe, che provoca nella psiche giovane effetti devastanti. Una fetta di popolazione, questa, che sta raggiungendo numeri sempre più alti: secondo le stime del ministero della Giustizia, almeno il 15 per cento dei ragazzi che entra in comunità avrebbe bisogno di essere seguito per una “doppia diagnosi”: ovvero quando la tossicodipendenza si accompagna a un disturbo mentale. Però le Regioni italiane attrezzate per questa nuova emergenza sono ancora pochissime. Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia e Puglia, ad esempio, sono totalmente prive di strutture del genere. Richieste d’aiuto arrivano attraverso segnalazioni quasi quotidiane da parte dei Tribunali per i minorenni di mezza Italia, soprattutto al Centrosud. Per capire la portata del problema basta dare uno sguardo ai numeri del Dipartimento per la Giustizia minorile: nell’ultimo anno i ragazzi affidati a comunità autorizzate al trattamento della doppia diagnosi sono stati solo 6 in tutta Italia. Pochissimi e selezionati posti distribuiti in 3 strutture presenti soltanto in Liguria, Lombardia e Umbria. Più del 30 per cento dei ragazzi che dovrebbero essere ricoverati in una apposita comunità, rende noto la Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia, non trova posto da nessuna parte.
«È una situazione che abbiamo denunciato più volte al ministero», spiega la presidente del Tribunale per minorenni dell’Aquila Cecilia Angrisano. «Riscontriamo almeno un caso a settimana di adolescenti con problematiche psichiche mediamente gravi e diversi casi all’anno di ragazzi con una psicopatologia strutturata spesso associata all’uso di droghe. Per questo abbiamo chiesto alla Regione di cercare di disporre almeno 3 posti letto per le emergenze di questo tipo. Anche se la soluzione», prosegue il magistrato, «dovrebbe essere quella di costruire una comunità di riferimento per il Centrosud»
In psichiatria con gli adulti
E così succede che Francesca, nome di fantasia di una ragazza che oggi ha 17 anni, consumatrice di crack da quando ne aveva 12, venga ricoverata per 50 giorni in un reparto psichiatrico per adulti, nel Lazio, a centinaia di chilometri da casa. Senza seguire un percorso terapeutico adatto alla sua età. E succede anche che Stefan, 18 anni, cresciuto nelle fogne di Bucarest dove ha iniziato a sniffare colla e a fumare crack all’età di 8 anni, negli ultimi 10 abbia vagato da una comunità del Centro Italia all’altra, in un crescendo di disperazione. È affetto da un lieve deficit cognitivo dalla nascita aggravato dall’uso massiccio di droga, e le strutture non abilitate a seguire i problemi psichici non sono state in grado di aiutarlo. Oggi, malato di epatite e sieropositivo, continua ad avere rapporti sessuali non protetti, prostituendosi nelle stazioni.
E poi esiste il problema dei mancati controlli all’interno delle numerose comunità terapeutiche private presenti in tutta Italia, sottolineato anche nell’ultima relazione della Commissione parlamentare delle politiche antidroga. Alcune strutture si accreditano per ospitare ragazzi in cura con doppia diagnosi, ma non potrebbero farlo. Sarebbe successo per esempio nella provincia di Perugia, dove la cooperativa sociale Il Piccolo Carro è accusata – il processo è tuttora in corso – di aver truffato per anni lo Stato chiedendo rimborsi da 400 euro al giorno per ogni ospite pur senza averne titolo. Da qui, scapparono la 14enne Daniela Sanjuan e la 16enne Sara Bosco. I resti del cadavere di Daniela sono stati ritrovati, a 10 anni dalla scomparsa, a pochi metri dalla struttura. Sara è morta di overdose due anni fa, in uno dei padiglioni abbandonati dell’ex ospedale Forlanini a Roma.
Dalla colla alla coca
Per chi ha cominciato ad addentrarsi nel tunnel quando era appena un bambino, tornare indietro è difficilissimo. Lo sanno bene alla comunità terapeutica Draghi Randagi, nella campagna bergamasca, una delle strutture approvate dal circuito della giustizia minorile, costruita per volere dell’Aga, associazione nata negli anni Ottanta su iniziativa di un gruppo di genitori di tossicodipendenti.
Qui da due settimane vive Kevin, che ha cominciato a sniffare colla a 9 anni in Brasile e poi, una volta in Italia, la cocaina. «Ho tentato di annegare nelle sostanze il dramma del distacco dalla mia famiglia di origine», racconta. «Ho vissuto 5 anni in cui non capivo più niente: sniffavo e mentivo».
Paolo, invece, ha smesso di mentire 6 mesi fa. In 5 anni ha bruciato tutte le tappe: a 13 anni le pastiglie, a 16 la coca, a 19 l’eroina in vena.
Quindi, in fumo, ha mandato tutto quello che di buono aveva al mondo: la sua famiglia, la sua ragazza, il suo lavoro.
Matteo, 17 anni, un mese fa è stato fermato durante l’ennesima rapina. Quando lo hanno portato in Questura i suoi occhi erano annebbiati, continuava a ridere, come fosse impazzito. «La mia più grande fortuna», racconta oggi, « è essere stato arrestato adesso. Così sono stato costretto a curarmi. Perché io, a 20 anni, non ci sarei arrivato».
Finisce di parlare, poi corre a sistemare la sala da pranzo. Seduto al tavolo c’è Carlo, il più piccolo ospite della comunità. Lui, però, non ha tempo di parlare: sta preparandosi per la terza media.