Di Francesco Maria Storino
Alzheimer, una nuova ricerca alimenta la speranza. Una scoperta quella fatta da un team di ricercatori dell’Università Sapienza di Roma coordinato dal professor Eugenio Barone (Foto) del dipartimento di scienze biochimiche che cerca di aprire le strade alle cure.
Lo studio ha messo in luce che la riduzione dei livelli della proteina biliverdina reduttasi-A sarebbe un potenziale fattore rischio per lo sviluppo di alterazioni tipiche della malattia di Alzheimer. In tal senso è importante la prevenzione. Il ricercatore di Paola ha relazionato ai due tra i più importanti congressi internazionali sul morbo dell’Alzheimer, quello di Berlino, nell’autunno scorso,e quello di Lisbona, poche settimane fa, dove insieme ad alcuni suoi colleghi ha presentato gli esiti della ricerca. Eugenio Barone, 37 anni di Paola, ricercatore e professore di biochimica all’Università Sapienza e si è laureato all’Unical in chimica e tecnologie farmaceutiche. È un calabrese tenace, da anni trapiantato nella capitale. Ha collaborato stabilmente con le università di Cile, Francia e Stati Uniti. La novità nella ricerca è rappresentata in particolare dal fatto che la proteina biliverdina reduttasi è un regolatore del segnale dell’insulina, che nel cervello è molto importante in quanto promuove processi legati all’apprendimento e alla memoria. Di conseguenza, come dimostrato dal gruppo di ricercatori della sapienza, la riduzione della proteina biliverdina reduttasi altera il segnale dell’insulina e promuove lo sviluppo di alterazioni tipiche della malattia di Alzheimer che si associano al declino cognitivo osservato normalmente in questi pazienti. Una ricerca che è stata pubblicata sulla rivista Neurobiology of Disease, che ha riconosciuto l’alto valore della scoperta ed ha premiato il gruppo universitario di Roma mettendo in copertina il suo meccanismo. Si è aggiunto, così, un’importante tassello nel quadro delle ricerche volte a identificare i meccanismi alla base dello sviluppo dell’Alzheimer in quanto propone un nuovo targetla cui valutazione rappresenterebbe un’ulteriore mezzo per l’identificazione precoce della malattia. Ma cosa rappresenta per Eugenio Barone questa scoperta? «Certamente un punto di partenza per provare a sviluppare nuovi farmaci. Un risultato che è il frutto di un lavoro di gruppo, di una squadra che ha lavorato e continua a farlo con grande passione e sacrificio». E per il futuro? «Siamoall’opera – spiega il ricercatore – per provare a modificare questo tipo di alterazioni e cercare quindi di rallentare o prevenire lo sviluppo dell’Alzheimer».
Sarebbe un nuovo e importante passo in avanti. Nel 2006 vi erano 26,6 milioni di malati in tutto il mondo e si stima che ne sarà affetta 1 persona su 85 a livello mondiale entro il 2050. Un aumento progressivo, anno dopo anno, al quale lascienza e la ricerca stanno cercando di porre un freno.