Di Francesca Lagatta
L’estate sul Tirreno cosentino non è una passeggiata. Nella sola stagione passata si è toccato il fondo, almeno si spera, e da una rapina ad un portavalori fino all’omicidio del 23enne Francesco Augieri, è stata tutta una rapina a mano armata, una rissa in strada, un furto con scasso, una truffa, botte da orbi e cose così. Un disastro. E’ così da sempre, perché qui negli anni ’80 i proprietari di seconde case hanno venduto principalmente alla camorra, che aveva liquidità e che acquistava come e dove le piaceva, e il risultato è che dopo 40 anni ci sono interi palazzi in mano ai malavitosi, per lo più residenze estive, dove sono passate almeno tre o quattro generazioni e altrettante ne passeranno.
Ma la provenienza geografica non c’entra, è un fatto assolutamente secondario. Recenti inchieste della magistratura hanno portato alla luce legami di un uomo di Belvedere con i potentissimi Casamonica, mentre i quattro ladri della rapina al portavalori, che hanno massacrato di botte tre residenti, erano originari di Roma. Uno dei presunti rapinatori all’Md a Scalea, quello che avrebbe sparato un colpo di fucile ferendo all’orecchio un dipendente, è originario della provincia di Salerno, senza dimenticare che qui la camorra va a braccetto da decenni con gli ‘ndranghetisti padroni di casa.
Criminalità diffusa
Ma ora che l’estate è finalmente alle porte e che non possiamo più dare la colpa a certi “turisti” per questa incommensurabile ondata criminale, la situazione non solo non è migliorata, per certi aspetti pare addirittura peggiorata. Certamente va di pari passo con il degrado e l’abbandono che caratterizzano ogni giorno di più questo fazzoletto di terra amara, gestita per lo più da incapaci, da gente senza scrupoli a cui viene bene soprattutto infrangere la legge per riuscire a dare ai ricchi quel poco che è rimasto ai poveri di cui non sanno che farsene.
Spaccio, furti e rapine
Lo spaccio di droga è ritenuta l’attività più redditizia dai giovani e meno giovani del posto senza subire flessioni e d’altronde per vendere la morte a dosi non è richiesto nessun titolo di studio e nemmeno grandi competenze.
Ma accanto allo spaccio, si fanno sempre più insistenti gli episodi di furtie rapine. Dieci giorni fa i ladri hanno divelto la saracinesca di una tabaccheria nel pieno centro di Diamante e si sono impossessati dell’incasso, mentre sabato scorso ad Amantea i malviventi hanno sottratto ai legittimi proprietari oltre 200 telefonini e diversi elettrodomestici. Nelle scorse a Praia a Mare i ladri sono entrati in azione mentre i fedeli assistevano alla messa, in pieno giorno.
Ma quello che preoccupa di più, in questo momento, è la netta sensazione che la criminalità organizzata stia rialzando cresta. Ma in modo più disorganizzato, più pericoloso di quanto già non lo fosse, perché nell’era del dopo (Franco) Muto, lo storico boss cetrarese rinchiuso dal luglio del 2016 al 41bis, non ci sono più regole all’interno dell’apparato mafioso o di quel che rimane, dove tutti tentano prepotentemente la scalata al potere impugnando pistole e fucili.
Tutto cambia perché niente cambi. La chiave è ancora lì, nel cuore della movida notturna, dove due anni e mezzo fa la magistratura era riuscita a fare momentaneamente pulizia. Lì, in diversi locali della zona gli spacciatori mietono il maggior numero di vittime, è lì che le fazioni avverse si sfidano a colpi di minacce e di spintoni, è lì che si ufficializzano i legami facendosi vedere insieme un pubblico, mentre si fanno affari di droga e si organizzanospedizioni punitive con in mano tre, quattro, cinque drink, possibilmente bevuti uno dopo l’altro.
Le intimidazioni
Debiti di droga, maldicenze, torti di poco conto o anche solo uno sguardo male interpretato, alle origini delle intimidazioni c’è veramente di tutto. Tanto è vero che a questo punto del racconto la criminalità si intreccia con la politica, che a queste latitudini funge da vero e proprio ufficio di collocamento, mentre gli uffici sono veri e propri centri di potere che controllano tutto e tutti, nei quali si decide chi può o non può fare o quell’altra cosa. Le recenti inchieste della magistratura, da Plinius in poi, risalente al luglio del 2013, lo dimostrano ampiamente.
Fatto sta che qui ogni tanto qui va a fuoco qualcosa. Un locale, un’auto, uno stabilimento balneare, un camion. A Paola, combinazione, due mezzi della stessa ditta hanno preso fuoco a pochi giorni di distanza proprio nelle scorse settimane. A Diamante quattro giorni fa un lido è andato letteralmente in fumo. Quella di incendiare gli stabilimenti balneari oramai è prassi e infatti è solo l’ultimo episodio in ordine cronologico. Prima era toccato a Scalea e prima ancora a Praia a Mare.
Ma c’è stato anche l’episodio di un ordigno ritrovato innanzi al cancello di un esercizio commerciale a Scalea, mentre pochi giorni più tardi una bomba carta è stata fatta esplodere nel giardino di una casa a Santa Maria del Cedro. Era poco più di un anno fa. Poco prima una bottiglia incendiaria aveva dato alle fiamme un negozio di abbigliamento in pieno centro a Praia a Mare.
Nell’ottobre scorso nelle campagne tra Verbicaro e Orsomarso, ignoti hanno ucciso un cane e ancora insanguinato lo hanno lasciato nei pressi dell’abitazione di Carmine Dito, ambientalista di Italia Nostra, che negli stessi minuti ha rinvenuto un quadro con un Cristo che porta la croce appeso al cancello d’ingresso. Il giovane recentemente si era occupato di questioni spinose, come losversamento di rifiuti in mare e nei fiumi, o come il fenomeno del randagismo e dei cani morti avvelenati. A proposito, venti giorni più tardi ne sono stati trovati uccisi 9 in un solo giorno, proprio nella sua Verbicaro, ma la mattanza di quattro zampe era cominciata prima nella vicina Santa Maria del Cedro solo qualche settimana prima.
E che dire delle intimidazioni alla stampa, che ormai non fanno neanche più notizia. L’ultima in ordine di tempo, regolarmente denunciata, si è registrata durante un servizio sul mercato ittico di Cetraro, il settore commerciale che una volta era monopolio del clan locale.
La terra di nessuno
E in tutto questo la politica che fa? A parte qualche anima pia, “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”, per dirla alla De André. Se poi vogliamo dirlo in maniera più semplice, possiamo semplicemente affermare che il Tirreno cosentino è la terra di nessuno e che la politica non può risolvere il problema perché è essa stessa il problema, indaffarata com’è negli affidamenti degli appalti, nel truccare concorsi, nella spasmodica ricerca di voti e consensi, impegnata com’è a sistemare le carte, da quando sente di avere la Procura con il fiato sul collo. E poi ci sono gli affari della sanità, gli amici da sistemare, le cene a cui non si può mancare e alla riunioni segrete a cui è vietato mancare. Per le cose importanti rimane quindi poco tempo.