Di Saverio Di Giorno

È ‘ndrangheta. Mentre arriva la notizia che uno stabilimento balneare nel comune di Scalea va a fuoco cerco le parole per meglio descrivere l’episodio che si aggiunge all’intimidazione al giornalista Guido Scarpino. Ma ce n’è una sola: la ‘ndrangheta.
È ‘ndrangheta nei metodi perché non è un singolo episodio.

La criminalità è tornata ad alzare la testa e oramai da un po’ di tempo a questa parte; oltre un anno fa. Mentre quasi tutta la stampa dava solo le notizie senza provare a concatenarle, ad analizzarle gli episodi si sommavano nel silenzio generale. Ormai è un bollettino di guerra. Un territorio in guerra. Ma con chi? A chi? Questa è la risposta che bisogna cercare. Non bastano denunce generali o manifestazioni di vicinanza a chi viene colpito. Occorre analisi.

Il 20 novembre 2018 era stato incendiato lo stabilimento balneare la Perla a Diamante e negli stessi giorni due mezzi di una ditta di Paola erano stati incendiati, ma tutto l’inverno è stato segnato da episodi di violenze come rapine e furti. Ancora prima erano stato incendiato uno stabilimento a Praia a Mare. Tutto questo ha un preciso messaggio: rendersi visibili, rimarcare la presenza sul territorio. Se si avverte questo bisogno significa però che qualcosa l’ha messa in crisi.

È di ‘ndrangheta il territorio perché conta anche il contesto. La storia forse deve partire da una serie di inchieste che sulla costa hanno dimezzato il braccio militare del Clan Muto, lasciando tuttavia falle (più o meno vistose), che hanno permesso al clan di riorganizzarsi. Soprattutto hanno lasciato fuori i collegamenti con il mondo politico ed economico. Se il clan risulta indebolito tutta la criminalità non ha perso tempo per provare a far concorrenza. Gli autori di alcune rapine l’estate scorsa provenivano da fuori e viene il dubbio che qualche altro voglia contendere il territorio. A tutto questo si aggiunge una presenza di armi che sembra essere ancora molto forte sul territorio: è recente l’arresto di una 68enne nel comune di Scalea ritrovata in possesso di diversi fucili e munizioni. Forse un deposito?

Dati questi presupposti un surriscaldamento della situazione può essere molto probabile, che bisogna monitorare. Le amministrazioni locali dovranno essere forti nel non prestarsi a ricatti per stabilizzare i territori e così le parrocchie come insegna don Diana di cui il 19 marzo ricorreva l’assassinio. Per troppo tempo dopo quelle inchieste si è fatto finta che nulla fosse successo. La parola ‘ndrangheta che è rimbalzata in tutti i tg nazionali è sparita. Per vergogna forse si potrebbe pensare, ma chi vive questi luoghi sa che non è vergogna e forse nemmeno paura, ma rispetto. Non si può e non si deve macchiare il nome dei nostri territori né delle persone coinvolte con spiacevoli vicende. La mafia sta sempre altrove, qui sono sempre altre cose: bravate, aggressioni isolate, piccole ruberie, truffe. Invece non è così. Bisogna mettere insieme tutti questi episodi e capire che non sono casi isolati, non sono singolarità, ma hanno un disegno più o meno consapevole.

Non solo, ma l’effetto di quelle inchieste in alcuni casi è stato paradossalmente opposto come spesso accade in territori dove la logica è quella mafiosa. Se si pensa che rubare e vessare sono dimostrazioni di forza e furbizia allora ritrovare individui passeggiare sui litorali dopo essere stati coinvolti non fa che aumentare il loro prestigio e carisma criminale. Quasi una sottolineatura. Certo la colpa è anche di una giustizia troppo lunga, farraginosa e a tratti schizofrenica e capace di dare sentenze a volte sorprendentemente opposte da un grado all’altro. È di ‘ndrangheta il clima.

Bisogna tornare a usare questa parola. La parola è azione, ripeteva Sartre. Le parole sono armi di resistenza perché pronunciare una parola, dare un nome, secondo gli antichi significa assoggettare le cose alla propria potestà. Si danno i nomi agli oggetti, ai cani. Dio ha dato il nome alle cose per crearle. Si danno i nomi ai figli. Mentre certi nomi, certi affari da noi non si pronunciano, o si sussurrano come con le grandi paure. Invece bisogna dargli un nome alle cose e ai nomi. ‘Ndrangheta e ‘ndranghetisti. Criminali. Null’altro. Figli marci di questa terra.
Interpretando il significato di un verso famoso “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” (“la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”) di tutte le grandi idee non restano che nudi nomi e così anche della libertà e della giustizia se non se ne fa un esercizio quotidiano.

Fonte Iacchitè