Definire incresciosa l’incertezza che regna tuttora, a pochi mesi dall’avvio del maxi-processo per i rinviati a giudizio dell’inchiesta Rinascita-Scott (quella che ha sgominato il potente clan dei Mancuso e illuminato gli intrecci malavita-politica-massoneria deviata specialmente fiorenti a Vibo), sull’aula bunker che dovrà ospitarlo, è troppo poco. Come ha ricordato oggi il procuratore Gratteri, tradendo un certo nervosismo, perché a nessuno piace lavare i panni sporchi fuori casa, il Ministero di Grazia e Giustizia è stato allertato 15 mesi fa ma non ha ancora trovato una soluzione.
Le prescrizioni di distanziamento fisico in vigore a causa del coronavirus accentuano un problema oggettivo, concentrare cioè oltre 400 imputati e i loro difensori in uno spazio che non li esponga a rischi di sorta, compreso quello epidemiologico. Eppure, sembra sottintendere il Magistrato simbolo della lotta alla ‘ndrangheta (calabrese anche lui, per il cui il non detto conta più di ciò che esterna), l’emergenza sanitaria è solo un’aggravante: ci saremmo probabilmente trovati in queste condizioni anche senza pandemia.
Mi auguro, dunque, che nessuno al Ministero si permetta di indicare Covid-19 quale capro espiatorio, perché con ogni evidenza la disfunzione è nel sistema, non indotta dall’emergenza. È naturale, anzi, chiedersi quante volte al giorno il dott. Gratteri debba domandarsi se lo Stato non si aspetti o addirittura pretenda che, oltre a farsi carico della identificazione dei criminali, della raccolta delle prove dei loro reati, dell’emissione delle relative ordinanze di custodia cautelare, il Procuratore li porti a casa con sé tutti quanti, nel momento in cui, generando con il lavoro della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro la necessità di celle per la reclusione di centinaia di individui o di un’aula bunker per processarli, finisce per essere lui, Gratteri, il granello di sabbia che fa inceppare definitivamente un ingranaggio già compromesso. Sono convinta che è così che molti lo vivono, nel suo ambiente; non come lo straordinario servitore dello Stato che è ma come la goccia d’acqua che ha la sfrontatezza di lasciandosi cadere nel vaso già colmo fino all’orlo, compromettendo un equilibrio precario e facendo traboccare il contenuto.
Questa volta, però, i tanti per i quali l’equilibrio è tutto, quelli che ad ogni livello della macchina amministrativa aspirano alla condivisione della mediocrità senza avere obiettivi più alti, non pensino di cavarsela. Il processo ai Mancuso si deve fare in Calabria, ad ogni costo (in senso metaforico e pecuniario), e lo dico da calabrese prima che da parlamentare e membro della Commissione “Antimafia”. Ai Calabresi in Calabria bisogna dimostrare, fattivamente, che essere onesti non è per nulla inutile e che i boss del clan Mancuso, loro per tutti gli altri, non sono intoccabili ma viene il tempo in cui devono assumersi davanti alla società le responsabilità del loro agire e affrontare le conseguenze.
Il Ministro di Grazia e Giustizia non può permettersi di sottrarsi e, sono convinta, non si sottrarrà (più a lungo) ad uno dei pochi compiti che il Procuratore della DDA non può svolgere da sé, altrimenti sono certa che farebbe anche quello… In questo infatti consiste la provvidenziale pazzia che gli viene rimproverata, nel prendere sul serio le cose che fa, diversamente da chi, anche nei Ministeri di Grazia e Giustizia e dell’Interno, finge di voler vincere la guerra Stato-’ndrangheta ma in realtà si guarda bene, e proprio in Calabria, persino dall’accettare di entrare in campo per giocare la partita.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Antimafia)