Di Francesca Lagatta

I terreni che circondano lo stabilimento tessile ormai dismesso della Marlane di Praia a Mare, ribattezzata dai media “fabbrica dei veleni”, presenterebbero tracce di sostanze di sostanze cancerogene o pericolose, quali cromo totale, cromo esavalente, cadmio, nichel e cobalto. Tracce pericolose sono state ritrovate sia in uno dei condizionatori all’interno della fabbrica, sia nelle falde acquifere. E’ quanto hanno sostenuto ieri mattina i periti nel corso dell’udienza tenutasi nelle aule del tribunale di Paola, dove si sta celebrando il processo Maralne bis. I tecnici hanno depositato una perizia che contiene i risultati di scavi e carotaggi effettuati nel settembre scorso e durati oltre tre settimane.

Tuttavia, i periti nominati dal Gip hanno evidenziato che alcune delle sostanze rinvenute, come il tricloroetilene, non hanno valori allarmanti e pertanto bisogna essere cauti nel parlare di un attuale pericolo di contaminazione, anche se l’area andrebbe comunque bonificata.

Ben diverso è il discorso sull’esistenza o meno di una correlazione tra le sindromi tumorali ed in generale le patologie riscontrate e rappresentate dalle cartelle cliniche degli ex operai e la presenza di sostanze pericolose utilizzata negli anni per la lavorazione dei tessuti. Il nesso deve essere ancora accertato, ma alla luce delle nuove informazioni non può essere escluso a priori.

Marlane bis
Il secondo processo, che vede indagate sette persone, è stato riaperto dal maggiore dei carabinieri Gerardo Lardieri, oggi a capo della polizia giudiziaria di Catanzaro, dopo che il primo iter giudiziario si era chiuso in modo favorevole per tutti e dodici gli imputati, tutti ex dirigenti della fabbrica.

Le indagini hanno previsto dapprima gli scavi e i campionamenti di terreno per l’individuazione di eventuali composti organici, idrocarburi aromatici, composti aromatici policiclici, composti alifatici clorurati cancerogeni e alifatici clorurati, Pcb e amianto dei coloranti azoici, laddove precedentemente erano state indicate zone anomale, mentre la seconda parte delle operazioni è stata effettuata mediante i prelievi e campioni di polveri, sedimenti, fibre e incrostazioni, sottoposte poi alle analisi chimiche.

Cosa era stato ritrovato nell’area della ex fabbrica
In diverse zone del terreno a settembre scorso erano stati rinvenuti bidoni di plastica, bidoni di ferro arrugginiti, copricoperchi di ferro arrugginiti, piccoli dispositivi meccanici detti mandrini, dispositivi metallici detti tronchetti e persino due canali di scolo sotterranei. In altri punti, a una profondità di soli 50 centimetri, le pale meccaniche hanno lasciato intravedere una sorta di stratificazione del terreno. Secondo alcuni periti, quei materiali sulle pareti, misti a sabbia, potrebbero essere i fanghi di cui parlavano alcuni ex operai che in più occasioni avevano confessato di aver ripetutamente sversato i liquami nelle buche sotterranee. Ed oggi gli esiti delle analisi chimiche sembrerebbero confermare in parte le impressioni iniziali.

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