La notte tra il 10 e l’11 giugno del 1980 il consigliere comunale di Rosarno, dirigente comunista ed insegnante Giuseppe Valarioti veniva ucciso all’età di 30 anni dalla ‘ndrangheta.

La storia di Peppe Valarioti ha segnato terribilmente il presente e il futuro della Calabria. La ‘ndrangheta e la famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro non avevano accettato le denunce e le battaglie del giovane militante per la moralizzazione delle cooperative agricole, contro le speculazioni edilizie e le prese di posizione nette per la moralità nella politica.

Quegli anni in Calabria sono segnati dalla violenza come arma di lotta politica e la ‘ndrangheta, che sta per cambiare volto, rinvigorisce la propria azione intimidatrice e di controllo del territorio. La macchina del fango attivata subito dopo la morte di Peppe Valarioti è la prova che il suo impegno, la storia collettiva e le battaglie messe in campo in quegli anni erano il giusto esercizio di testimonianza politica e civile di liberazione dalle mafie nella Piana di Gioia Tauro.

Oggi, a 40 anni dall’assassinio di un uomo e politico giusto, ci siamo ritrovati abbracciati ai suoi familiari, ai compagni di sempre e a Peppino Lavorato, già sindaco antimafia di Rosarno, che tra le sue braccia ha visto spegnersi quella vita che testimoniava una Calabria diversa e una Calabria migliore.

“Negli anni la storia di Peppe Valarioti è stata spesso sottaciuta e silenziata, rilegata ai margini del dibattito pubblico eppure quella storia rappresenta la voglia di riscatto e di cambiamento dalla quale bisogna ripartire nella lotta e nelle battaglie per la difesa dei lavoratori braccianti, per il rilancio del settore agricolo e agrumicolo, per la promozione di una cultura della legalità e della giustizia, per rinnovare l’impegno politico teso a favore dei più deboli e della collettività.

Oggi siamo stati a rendere omaggio a Peppe Valarioti, cittadino esemplare della Calabria onesta e vittima innocente della violenza criminale e mafiosa, perché la nostra storia, di Avviso Pubblico e di Libera, è la storia di un impegno che nasce e si rinnova nell’esempio e nella testimonianza viva dell’esempio di donne e uomini come Peppino Valarioti.

Oggi, a 40 anni da quel tragico giorno, nella sua memoria rinnoviamo il nostro impegno per il bene comune nelle Istituzioni democratiche, nella società civile, nell’associazionismo. Ancora una volta ‘se pensano di intimidirci non ci riusciranno, sappiano che non ci piegheremo’”.

Lo dichiarano, in una nota congiunta, don Pino De Masi, referente di Libera della Piana di Gioia Tauro, e Maria Antonietta Sacco, vicepresidente di Avviso Pubblico.

Il caso ha voluto che, proprio a 40 anni esatti dall’omicidio di Valarioti, abbiamo scoperto l’esistenza di un libro, “Porto Franco” di Francesco Forgione, risalente al 2012, nel quale si anticipavano con dovizia di particolari gli scenari che stanno emergendo oggi sulla massomafia di stato e che è dedicato proprio a Valarioti.

A Giuseppe Valarioti, segretario del Pci di Rosarno, ucciso dalla ‘ndrangheta all’età di trent’anni…

Siamo venuti a conoscenza dell’esistenza di “Porto Franco” mentre cercavamo i parenti mafiosi del giudice Tommasina Cotroneo, diventata celebre in questi giorni per le famigerate chat di Palamara nelle quali, oltre a chiamare il magistrato con la faccia di tonno “orsetto” ed “orsacchiotto”, non nasconde le sue preoccupazioni per queste vicenda. E scava scava, abbiamo scoperto che in questo libro sono contenuti quei nomi che stavamo cercando ma non solo… E leggendo questo libro ci si è aperto letteralmente un mondo… 

Francesco Forgione, calabrese di Tiriolo (Catanzaro), 59 anni, è un uomo politico e un esperto di mafia e di ‘ndrangheta. Ha pubblicato numerosi saggi. Ha insegnato sociologia delle organizzazioni criminali all’Università dell’Aquila. Dal 1996 al 2006 è stato capogruppo di Rifondazione Comunista all’Assemblea Regionale Siciliana e dal 2006 al 2008 è stato deputato del PRC e presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. In questa veste ha firmato la prima Relazione interamente dedicata alla ‘ndrangheta. Il primo documento della Commissione mette a fuoco per la prima volta il ruolo internazionale assunto dalla potente mafia calabrese, su cui si erano accesi i riflettori solo dopo la Strage di Duisburg del 15 agosto 2007.

Partiamo dall’inizio, allora, e riportiamo cosa scrive Forgione nella premessa del suo importante lavoro. 

E’ vero, della ‘ndrangheta ormai si parla abbastanza. Si sa, ci sono i collusi, i corrotti, la zona grigia. Insomma, le solite storie, si dirà. No! Perché bisogna capire cosa c’è dietro. Lo scenario! Questo libro racconta fatti inediti e incredibili, un Paese assurdo che sembra un marcio Macondo di Garcia Marquez. C’è il latitante in Venezuela che tratta voti e petrolio con Dell’Utri e poi compra azioni con una broker in Vaticano che si incontra con il cappellano spirituale di papa Wojtyla. C’è la onlus di un prete nigeriano che smercia medicinali per conto dei boss. Ci sono i cinesi che contrabbandano scarpe e vestiti, amici dei Templari – non i Cavalieri del Santo Sepolcro, ma i massoni – che a loro volta riciclano milioni della ‘ndrangheta tramite fondazioni “umaniste”. C’è il faccendiere che chiede al ministro di intercedere per il boss al 41 bis, e il ministro, a sua volta inquisito, che chiede una mano al faccendiere. C’è lo stimato commercialista uomo dei Servizi che si vende al boss per pura ammirazione, perché quello sì è “un vero uomo”. C’è il giudice erotomane che si vende per qualche escort e un po’ di affari.

Tutte storie che in un modo o nell’altro attraversano la Piana di Gioia Tauro e il suo porto, crocevia di mezzo secolo di storia repubblicana, da Andreotti a Berlusconi, di intrecci tra massoneria, Servizi deviati, manager corrotti. Mezzo secolo di storia dei Piromalli, la famiglia che – tra omicidi e tragedie – ha trasformato la vecchia ‘ndrangheta in un potere parallelo in cui tutto è doppio o sfumato.

Questo è lo scenario di una Calabria e un’Italia diventate “porto franco” per la legalità e la democrazia. E’ la battaglia più dura, che tocca a tutti noi combattere.

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