Che Franco Muto sia un boss di prim’ordine non si discute. E lo è da sempre. La sua influenza è sempre andata oltre il suo naturale territorio: il Tirreno cosentino. Ha sempre frequentato “l’ambiente di Cosenza”. Ed è stato un grande amico del defunto boss Tonino Sena. Anche se “costretto” si relazionava con Franco Pino che non vedeva di buon occhio. Lo accusava, ancora prima del suo pentimento ufficiale, di essere un cantaro. A dirlo era stato U Zorru: accusava Franco Pino di essere il soffia che fece arrestare un nipote acquisito di Perna, che si chiamava anche lui Franco, dopo una storica rapina ad un treno, in Sila, carico di gioielli.
Don Franco è un uomo rispettato da tutti anche dai suoi pochi rivali. Ed è temuto. Nel corso della sua lunga carriera criminale ha accumulato fortune che gli hanno permesso di “allargare” giro e orizzonti. Dalle estorsioni ai locali agli appalti il passo è stato breve.
La storia narrata nel decreto di fermo emesso dalla DDA di Catanzaro, a carico di Muto e Barbieri e gli altri imprenditori coinvolti nell’operazione “5 lustri”, chiarisce bene il salto di qualità della cosca Muto e che tra gli imprenditori, tipo Barbieri, e lo stesso boss, non c’è nessuna differenza criminale. Entrambi sono boss affiliati alla ‘ndrangheta con tanto di regole e copiata. Don Barbieri crea e costruisce alleanze con altri clan in base agli appalti che arraffa. E su Cosenza era talmente potente da permettersi il lusso di dire a compari del calibro dei Morabito di voler fare da solo nella città dei Bruzi.
La presenza di Muto al suo fianco favorisce Barbieri nell’interlocuzione con i cosentini ovvero gli italiani, che come già vi abbiamo raccontato non vogliono zingari nell’affare di piazza Fera/Bilotti.
Gli italiani sono pochi, l’arresto di Presta e Lanzino è stata una botta per il clan. Quelli che restano fuori, oltre al problema della DDA, dopo l’omicidio del povero Luca Bruni, devono guardarsi anche le spalle. Ci sono già state diverse discussioni su ammanchi di denaro dalla bacinella comune, e l’aria che tira è tesa.
A dover gestire tutto e a rassicurare la tranquillità del cantiere di piazza Fera, oggetto dello scontro, è Francesco Patitucci, cosi come recita il decreto di fermo emessa dalla DDA. Perché sarà pur vero che don Franco Muto è uomo di rispetto e tutti lo rispettano, ma è anche vero, così come dice la stessa DDA, che non poteva certo esautorare da questo appalto boss storici cosentini, del resto Cosenza è pur sempre la loro città. E qualche guaio te lo possono combinare. E don Barbieri non vuole problemi che già ne ha tanti. E così tutto l’affaire piazza Fera passa per le mani di Patitucci che è descritto da Gratteri come il rappresentante degli italiani. Ma nonostante ciò non è stato raggiunto da nessun decreto di arresto o misura cautelare. Segno evidente della continuità di questa operazione.
Dice Gratteri di Francesco Patitucci: “Una moltitudine di collaboratori ha consentito di dimostrare che, messe da parte annose e sanguinose contese, si è creata una sorta di “cassa comune”, gestita da esponenti ndranghetistici di origine nomade, da esponenti della famiglia BRUNI e dai cosiddetti “italiani”. Questi ultimi hanno come leader Francesco Patitucci, primo collaboratore dell’irriducibile Gianfranco Ruà, da tempo in carcere in esecuzione di condanne definitive alla pena dell’ergastolo.
Gratteri indica come reggente a Cosenza Francesco Patitucci. E aggiunge: “Infatti è di particolare interesse osservare, nel periodo di tempo oggetto di indagine, come i più importanti lavori ed appalti che il Barbieri si aggiudica e per i quali sembra rivolgersi alla cosca Muto – importantissima ed estremamente significativa è quella conversazione da cui emerge come lo stesso Barbieri si sia messo allo stesso tavolo con Muto, Patitucci e Morabito proprio in relazione allo svolgimento dei lavori in questione – si svolgano in territorio al di fuori del diretto controllo ‘ndranghetistico dei Muto, si svolgono cioè a Cosenza (appalto di Piazza Bilotti), tanto da determinare in distinti momenti, ed in relazione alle dinamiche criminali di volta in volta esistenti, l’interessamento proprio delle cosche di ‘ndrangheta della città di Cosenza: ciò che spiega, prima, la presenza di Patitucci al tavolo di cui si è detto, nonché, successivamente, l’intervento di Piromallo in relazione al quale gli è necessario, ancora una volta, ricorrere proprio a Franco Muto”.
Gratteri colloca Patitucci al tavolo delle trattative per la spartizione delle mazzette dell’appalto di piazza Fera/Bilotti, seppur in una situazione caotica delle cosche cosentine, insieme a Muto, Barbieri e Morabito. Altro che le cosche cosentine non c’entrano! Come qualcuno vuole far credere per evitare collegamenti con la politica cittadina.
Per gli estimatori dei malandrini preciso che a dire questo non sono io, mi sono limitato a riportare quello che ha scritto Gratteri. Giusto per ricordare a tutti voi che ci leggete come stanno realmente le cose.
GdD