Di Francesca Lagatta
Ha una trombosi cerebrale in corso, ma prima di ricevere cure adeguate all’ospedale Annunziata di Cosenza, vive la consueta odissea di un malato calabrese, sballottato da un ospedale all’altro con una diagnosi originaria errata, circostanza che molto probabilmente ha contribuito al peggioramento delle condizioni di salute. E’ ciò che è accaduto, referti alla mano, a un cittadino dell’alto Tirreno cosentino che, il 10 settembre scorso ha avuto la sfortuna di provare sulla sua pelle tutta l’inefficienza e l’inadeguatezza di una sanità ridotta ormai al lastrico. Dopo il malore, l’uomo è stato dapprima ricoverato all‘ospedale di Praia a Mare, da dove è stato dimesso con una diagnosi da sindrome vertiginosa, poi in quello di Lagonegro, dove i medici hanno intuito la gravità del caso, ma non hanno fatto altro che tenerlo in osservazione per una notte, dal momento che al nosocomio lucano non esiste il reparto di neurologia. L’uomo, attualmente, non versa in pericolo di vita, ma si trova ancora ricoverato in ospedale in gravi condizioni.
La diagnosi di sindrome vertiginosa
L’uomo, 68 anni e diabetico, varca la soglia del pronto soccorso di Praia a Mare alle 16:54 di tre giorni fa lamentando violenti capogiri. Il suo, dicono i sanitari, è un codice bianco, un malore di lieve entità. Il medico che lo ha in cura, C.C., ordina una serie di analisi del sangue e persino una tac all’encefalo, che però danno esito negativo. Forse con una risonanza magnetica l’ictus sarebbe stato ben visibile, ma la Tesla 1.5 di ultima generazione costata oltre 400mila euro giace in una stanza della struttura praiese da due anni e mezzo senza che sia mai entrata in funzione e senza che nessuno si sia chiesto mai il perché. Fatto sta che il medico, pur scrivendo di proprio pugno che il «paziente è leggermente confuso», dichiara che «non si apprezzano segni neuorologici patologici degni di nota, tranne una modica disartria». Neppura la sua annosa esperienza in campo sanitario gli suggerisce maggiore attenzione. Diagnosi: sindrome vertiginosa. E lo spedisce a casa.
Il ricovero a Lagonegro
Una volta a casa i familiari si consultano. Pur non avendo una laurea in medicina e chirurgia, si rendono conto che l’uomo ha bisogno di aiuto, è in stato confusionale, non riesce a parlare come dovrebbe e non si regge in piedi. Così decidono di tentare la “fortuna” all’ospedale di Lagonegro, dove arrivano alle ore 20:43 dello stesso giorno. Qui, soltanto due ore più tardi, il codice di accettazione al pronto soccorso passa da bianco a giallo, cioè “caso mediamente critico, presenza di rischio evolutivo, potenziale pericolo di vita, prestazioni non differibili”. Il problema è la disartria, la difficoltà del linguaggio dovuta a lesioni cerebrali o dei nervi. Come già era chiaro tre ore prima, anche al dottore che ha diagnosticato le vertigini. Anche qui i medici eseguono gli esami del sangue e la tac all’encefalo, anche qui danno esito negativo ma la diagnosi è un’altra: sospetta vasculopatia cerebrale acuta, ossia sospette alterazioni a carattere occlusive e trombotico a livello vascolare. L’uomo passa la notte in quell’ospedale, sotto osservazione, ma i famigliari sono spaventati dal fatto che non ci sia il reparto di neurologia e temono che non possa ricevere cure adeguate.
La disperata corsa all’Annunziata di Cosenza
All’alba del nuovo giorno, la figlia dell’uomo chiede che il padre, contrariamente al parere dei medici, venga dimesso. Con estrema lucidità, chiede l’intervento di una ambulanza privata, che porterà l’uomo dritto nel reparto di Neurologia dell’ospedale Annunziata di Cosenza, dove, finalmente, i medici ricostruiscono dettagliatamente il quadro clinico del paziente. A seguito di approfonditi accertamenti, è emerso che l’uomo è stato colpito da trombosi cerebrale con infarto cerebrale.
Danni irreversibili per l’uomo
Al nosocomio bruzio il 68enne viene sottoposto a ulteriori accertamenti, i medici si prendono cura di lui, ma i segni dell’ictus sono ormai evidenti. Gli specialisti provano a limitari i danni, ma la mancata applicazione di un protocollo di terapie adeguate entro le prime cinque ore, ha generato danni irreversibili. Sua figlia, che in questi giorni non l’ha mai lasciato solo, non si dà pace. «Fino alla sera prima – dice la donna – mio padre era una persona attiva, prendeva i suoi nipotini per mano e faceva lunghe passeggiate. Ora è costretto in un letto d’ospedale, ha un lato del corpo paralizzato. Niente sarà più come prima». E giura che d’ora in poi lotterà per avere giustizia e perché ciò che è accaduto a suo padre non accada mai più.
Fonte LaCnews24