Fonte Iacchitè.blog
Di chi si pente per “scampare” alla galera, dopo una vita dedicata al crimine, magari incolpando altri delle proprie nefandezze, non ce n’è mai fregato niente. Spesso, nei loro confronti, in riferimento a questa categoria di pentiti a convenienza, abbiamo usato tutto il nostro repertorio di aggettivi dispregiativi per descrivere tutto il loro squallore, perché chi non è capace di assumersi le proprie responsabilità, specie dopo aver fatto il malandrino per anni, praticando abusi e soprusi verso i cittadini più deboli, non merita, per noi, nessuna considerazione, se non quella che si deve, anche a prescindere, ad ogni essere umano.
Altra cosa è il pentimento vero. Quello che arriva dal profondo della coscienza, spesso accompagnato da un bisogno veritiero di cambiare vita. Chi si pente perché sincero, il che vuol dire aver maturato dentro di se la ferma convinzione che alla fine il crimine non paga, merita per noi tutto il rispetto e la solidarietà che si deve a chi affronta un percorso così difficile, come in questo caso.
Detto questo, per noi resta importante il rispetto della dignità umana, ed ogni azione che la degrada va vigorosamente condannata. Il rispetto della dignità umana si deve a tutti, anche ai criminali. Nessuno può sostituirsi alla Legge ne violare la Costituzione che tutela tutti, anche gli assassini. E quella che stiamo per raccontarvi è la storia di un pentito cosentino che da tempo subisce inutili violenze.
Il pentito in questione si chiama Francesco Noblea, alias Pozzetto. Da tempo Francesco ha saltato il fosso raccontando agli investigatori della Dda di Catanzaro il sommerso mondo legato allo spaccio di droga a Cosenza. Ha testimoniato in tanti processi, e le sue dichiarazioni hanno contribuito a “distribuire” decine e decine di anni di galera. Francesco, e ora lo possiamo dire perché è stato trasferito, era detenuto a Rebibbia, nella sezione destinata ai “pentiti”, da un po’ di tempo: una detenzione quella di Francesco segnata da tante incomprensioni, non solo con qualche detenuto, ma soprattutto con gli agenti della polizia penitenziaria.
Infatti, diverse volte erano capitati degli screzi tra Francesco e gli agenti della penitenziaria, perché, a suo avviso, la direzione del carcere gli negava sistematicamente di poter “usufruire” di alcuni suoi diritti, come quello di poter “coltivare i propri affetti familiari”. Una situazione che nel corso del tempo si era fatta sempre più tesa fino all’epilogo del 14/6/2019, quando, così come evidenziato dalla denuncia trasmessa dal suo avvocato agli organi competenti, Francesco denuncia una forte aggressione da parte di 4 agenti di polizia penitenziaria, durante il suo trasferimento in isolamento.
A dare la notizia dell’aggressione del Noblea il suo avvocato, Michele Gigliotti del foro di Catanzaro, durante l’udienza svoltasi ieri nel Tribunale di Cosenza a carico di Noblea. L’avvocato Gigliotti ha raccontato alla corte la grave situazione psicologica e fisica in cui versa il suo cliente a seguito proprio dei maltrattamenti subiti in carcere. Maltrattamenti che a detta del Noblea sono stati feroci e cruenti, fino a spaccargli la mandibola. Non solo, dell’aggressione l’avvocato ha notiziato anche il garante per i detenuti presso il consiglio regionale del Lazio, Simona Filippi, che è subito intervenuta presso la direzione dell’istituito penitenziario di Rebibbia che ha aperto una inchiesta. Noblea, presente ieri all’udienza in video conferenza, ha ascoltato in silenzio le parole del suo avvocato, che ha concluso il suo racconto alla corte confermando l’esistenza della denuncia presentata dallo stesso Noblea contro i 4 agenti della penitenziaria. Non mancheremo di tenervi informati.