Fonte Gazzetta del Sud, edizione online.
L’usura e il traffico delle sostanze stupefacenti andavano di pari passo nella zona dell’Alto Tirreno controllata dal clan Tundis-Calabria. La circostanza è certificata non solo dalle dichiarazioni dei pentiti – che sull’argomento forniscono non pochi particolari – ma soprattutto dalle intercettazioni telefoniche e ambientali registrate nel corso delle indagini, condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza – diretti dal colonnello Agatino Saverio Spoto – e coordinate dal capo della Procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Buona parte dei proventi che il clan tirava su con l’attività del cosiddetto “esercizio abusivo del credito” venivano reinvestiti per acquistare sostanze stupefacenti. Secondo le dichiarazioni del pentito Adolfo Foggetti, Pietro, Giuseppe e Fabio Calabria e Gianluca Arlia movimentavano denaro in nome di Francesco Patitucci: «Sapevo pure che facevano l’usura e che gestivano i soldi di Patitucci e quelli di Roberto Porcaro». Le intercettazioni ambientali testimoniano che il gruppo in più occasioni avrebbe prestato piccole a grandi somme di denaro. In un’occasione Giuseppe Calabria con un famigliare si lamenta a proposito d’un creditore che non riusciva a rispettare le scadenze delle rate: «Gli ho detto venti volte: sei sicuro? Non venirmi a dire poi che devi fare altre cose. Sei sicuro? Gli ho detto: vedi che a me prima di Natale mi servono e mi servono pure i soldi “da monacheedda”». In un altro episodio viene rilevato il recupero d’una somma, non senza minacce di ritorsioni, da un creditore. Un episodio, tra i tanti di quelli rilevati nel corso delle indagini, dal quale si deduce che l’attività dell’usura era una delle principali fonti di guadagno buona parte del quale era, poi, investito nell’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti.