Di Maria Lombardo
Sette condanne all’ergastolo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Catanzaro il 19 luglio 2016. E’ il verdetto della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro nel processo nato dall’operazione antimafia “Gringia”, scattata nel novembre 2012 per far luce sulla faida fra i clan di Stefanaconi ed il gruppo di Piscopio, frazione di Vibo Valentia.Le condanne al carcere a vita interessano: Saverio, Salvatore e Giuseppe Patania, di 42, 40 e 38 anni. Tali imputati sono tutti di Stefanaconi. Ergastolo anche per: Giuseppina Iacopetta, 64 anni, assolta in primo grado e vedova di Fortunato Patania, ucciso nel settembre 2011. Assolto anche in appello Nazzareno Patania, di 45 anni, assistito pure lui dall’avvocato Costantino Casuscell unitamente all’avvocato Antonio Larussa. Le altre condanne all’ergastolo interessano: Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, 57 anni, di Nicotera Marina, esponente di spicco dell’omonimo clan; Cristian Loielo, 27 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne; Salvatore Callea, 51 anni, di Oppido Mamertina. Condanna a 30 anni di reclusione a testa per: Francesco Lopreiato, 32 anni, di San Gregorio d’Ippona (avvocati Costantino Casuscelli e Salvatore Staiano) e Giuseppe Comito, 42 anni, di Vibo Marina, difeso dagli avvocati Giuseppe Bagnato e Salvatore Staiano (in primo grado entrambi condannati all’ergastolo) e per Cosimo Caglioti, di 29 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne che è stato condannato a 30 anni di carcere come in primo grado. Ricordiamo che il processo, nato dall’operazione antimafia denominata “Gringia”, mirava a far luce sulla faida che ha visto su due fronti contrapposti da un lato il gruppo dei Patania di Stefanaconi – un tempo “braccio armato” della “società maggiore” del paese guidata dai Lopreiato – contro un nuovo gruppo criminale emergente nato dalle ceneri della vecchia “società minore” del paese guidata dai Bartolotta, e dall’altro lato gli stessi Patania contro i “Piscopisani”, clan nato attorno alle “famiglie” di Piscopio, Fiorillo, Galati e Battaglia, alleate a loro volta a Francesco Scrugli, ritenuto elemento del clan Lo Bianco insieme al cognato Andrea Mantella anche se in posizione di autonomia.