Di Maria Lombardo
Sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro per il processo nato dall’operazione antimafia denominata “Genesi”, coordinata dall’allora pm della Dda Luciano D’Agostino, scattata nell’agosto del 2000 contro boss e gregari dei clan Mancuso di Limbadi, Galati e Prostamo di Mileto, Soriano di Filandari, Morfei di Dinami. Confermata la condanna per associazione mafiosa a 6 anni di reclusione a testa inflitta in primo grado nel maggio 2013 dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto all’epoca dal giudice Antonino Di Marco (a latere i giudici Alessandro Piscitelli e Manuela Gallo) per i fratelli Diego Mancuso (per il quale la Dda in primo grado aveva chiesto 26 anni di reclusione), Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”, Francesco Mancuso, detto “Tabacco”, tutti di Limbadi, e per Giuseppe Santaguida, di Sant’Onofrio. Assolto per non aver commesso il fatto Giovanni Mancuso, zio degli altri tre Mancuso imputati, che era stato condannato in primo grado a 6 anni per associazione mafiosa (avvocati Francesco Stilo e Giuseppe Di Renzo). Condannato Nazzareno Prostamo, di San Giovanni di Mileto, a 13 anni (14 anni in primo grado), con un capo di imputazione finito in prescrizione. Condannato poi Nicola Zungri, Rosarno, a 6 anni di reclusione, in luogo dei 9 rimediati in primo grado (due capi d’imputazione sono stati dichiarati prescritti). Prescrizione per: Pasquale Pititto, di San Giovanni di Mileto (in primo grado condannato a 8 anni); Mauro Campisi, di Monsoreto di Dinami (in primo grado condannato a 7 anni); Rocco Angiolini, di Dinami (9 anni in primo grado). Non doversi procedere per morte dell’imputato è stato dichiarata nei confronti di Michele Tavelladi San Giovanni di Mileto. Nel corso del processo di primo grado sono stati ascoltati quasi 40 collaboratori di giustizia provenienti da tutta la Calabria, ma anche camorristi e appartenenti alla Sacra Corona Unita pugliese. Tutti concordi nel delineare il potere del clan Mancuso, ma soprattutto la “genesi” della loro influenza nel panorama ‘ndranghetistico. L’operazione “Genesi” è frutto della riunione di due inchieste: “Alba”, condotta dalla Dda di Catanzaro, e “Metropolis” condotta inizialmente dalla Procura ordinaria di Vibo Valentia e poi trasmessa per competenza territoriale alla Dda di Catanzaro dall’allora presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Giuseppe Vitale che, nel corso del processo “Metropolis”, ha emesso nel 1999 un’ordinanza di 139 pagine per spiegare l’emergere in dibattimento di un’associazione mafiosa collegata ai clan Mancuso di Limbadi, Pesce di Rosarno e Piromalli di Gioia Tauro. Alla fine del processo “Genesi”, il Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto da Antonino Di Marco, (giudici a latere Alessandro Piscitelli e Manuela Gallo) ha però assolto 31 imputati con una sentenza di 130 pagine in cui oltre 10 collaboratori che hanno deposto in aula non sono stati affatto citati nelle motivazioni.