“Per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro“. Diciassette giorni dopo la scarcerazione il nome dello storico braccio destro di Silvio Berlusconi torna ad essere citato in un’inchiesta antimafia. Questa volta non è l’ombra nera di Cosa nostra che si allunga sull’ex senatore, ma quella più sfuggente della ‘ndrangheta. Proprio a una delle più importanti famiglie calabresi si sarebbe rivolto Dell’Utri per creare Forza Italia nel lontano 1993. A sostenerlo è uno dei principali indagati della maxi operazione della procura di Catanzaro, che ieri ha portato a 334 arresti: l’avvocato Giancarlo Pittelli.

Pittelli, “uomo cerniera”ed ex berlusconiano – Il fondatore di Forza Italia, già condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno (ne ha scontati poco più di cinque), non è indagato ma viene citato nelle carte dell’operazione della procura di Catanzaro. A fare il suo nome non è un pentito o un testimone di giustizia ma è appunto Pittelli, secondo gli inquirenti l’uomo cerniera tra due mondi, “accreditato nei circuiti della massoneria più potente” ma anche “perfettamente inserito” nelle famiglie di ‘ndrangheta. Per tredici anni è stato un parlamentare di Berlusconi: nel 2001 è stato eletto alla Camera con Forza Italia, poi è passato al Senato, quindi è tornato a Montecitorio con il Popolo della Libertà. Adesso è un esponente di Fratelli d’Italia ma nel 2011, con le dimissioni di Berlusconi da Palazzo Chigi, aveva aderito a Grande Sud, la costola autonomista nata da Forza Italia sotto la guida di Gianfranco Micciché, storico fedelissimo dello stesso Dell’Utri. Quella piccola scissione interna all’universo berlusconiano fu condotta con l’assenso dell’ex senatore, che infatti nel 2013 ventilò l’ipotesi di candidarsi con Grande Sud. Insomma i percorsi politici di Pittelli sono stati per anni legati a quelli del fondatore di Forza Italia.

L’intercettazione – Ed è proprio il nome di Dell’Utri quello che fa l’avvocato il 20 luglio del 2018. Sono le 16 e 15 e l’ex parlamentare sta parlando con due persone non coinvolte nell’inchiesta. “Pittelli – annotano gli investigatori – riferiva ai suoi interlocutori che, per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro che il Pittelli accostava, per importanza mafiosa, a Luigi Mancuso“. Mancuso, detto “il Supremo“, è il boss della ‘ndrangheta nel vibonese. Secondo Pittelli i clan più autorevoli di tutta la Calabria erano proprio Piromalli e Mancuso. Al netto delle dinamiche criminali interne alla mafia calabrese, però, è curioso che un ex parlamentare berlusconiano colleghi a uno storico boss della ‘ndrangheta a Dell’Utri e alla “formazione” di Forza Italia in Calabria. Soprattutto perché non è la prima volta che emergono legami di questo tipo. Non si tratta solo d’inchieste della magistratura, ma in certi casi di dichiarazioni spontanee dei diretti interessati.

Il boss disse: “Voteremo Berlusconi”- Il 24 febbraio del 1994 l’Italia è in piena campagna elettorale: la prima Repubblica è crollata sotto i colpi di Tangentopoli e dopo un mese il Paese sarebbe tornato a votare. Al tribunale di Palmi è in corso il processo a Giuseppe Piromalli, capostipite della cosca di Gioia Tauro, padre dell’omonimo boss (soprannominato “Facciazza“) che verrà arrestato anni dopo accusato anche di estorsione ai danni dei gestori dei ripetitori Fininvest. L’anziano padrino decide di prendere la parola. E dalla sua cella grida: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi“. “Non è stata presa una posizione chiara e precisa dicendo che quei voti non li si voleva”, contesterà Achille Occhetto al leader di Forza Italia durante un confronto radiofonico pochi giorni dopo. La replica del futuro premier è surreale: “‘Non credo che nessuno possa sapere con certezza per chi voterà la mafia, non so nemmeno se sia ipotizzabile un voto compatto della mafia. È un fenomeno che confesso di non conoscere in modo approfondito”.

Piromalli, alta ‘ndrangheta – Il voto della mafia, invece, fu compatto. E per chi votarono i clan lo dicono da anni diversi di pentiti: scelsero il simbolo di Forza Italia, come aveva detto Piromalli senior. D’altra parte il boss calabrese non era un mafioso qualsiasi: negli anni ’70 fu l’artefice della trasformazione del clan da organizzazione rurale a holding imprenditoriale, grazie ai lavori miliardari per il porto di Gioia Tauro. Dopo l’arresto diventa un acerrimo nemico del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi che combatterà militando nel partito Radicale. Nel frattempo ha stretto un solido legame con i siciliani. “I Piromalli erano un punto di riferimento per Cosa nostra del gruppo nostro di Salvatore Riina“, ha raccontato il pentito Calogero Ganci, uno che faceva parte del commando di morte dei corleonesi. Ganci ha parlato al processo sulla cosiddetta ‘ndrangheta stragista, quello sugli omicidi dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Gli imputati sono Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, considerato boss di una costola del clan Piromalli. Secondo gli inquirenti, dunque, i calabresi non solo conoscevano la strategia di attacco allo Stato di Cosa nostra ma l’hanno condivisa, avallando gli omicidi dei carabinieri negli stessi mesi in cui Gaspare Spatuzza avrebbe dovuto far saltare in aria un autobus pieno di militari allo stadio Olimpico.

Gli attentati alle reti Fininvest – Era accusato di aver cercato di far esplodere i ripetitori della Fininvest, invece, Giuseppe Piromalli junior, detto Facciazza. Il figlio del boss che fece l’endorsement a Forza Italia venne arrestato nel 1999 da latitante. Era accusato, tra le altre cose, di tentata estorsione e danneggiamento ai danni di alcuni gestori delle impianti di telecomunicazione del Biscione in Calabria: Una ritorsione dopo che si era visto negare 200 milioni l’anno di “messa apposto. L’inchiesta si concluse con un’assoluzione, ma tra le persone coinvolte c’erano anche due imprenditori televisivi: Tony Boemi e Rodolfo Biafore, che era anche coordinatore tecnico in Calabria di Elettronica Industriale, cioè la società del gruppo Fininvest che gestiva le reti in tutto il Paese.

“Vai da Dell’Utri, è l’anticamemera di Berlusconi” – L’ombra lunga dei Piromallo s’intreccerà con l’universo berlusconiano – e segnatamente a Dell’Utri – anni dopo, nel 2008, quando il Pdl candiderà Ugo Di Martino in Sudamerica. Non verrà eletto, ma tra i presenti al lancio della candidatura, al fianco di Barbara Contini allora responsabile delle liste per le circoscrizioni estere, c’era anche Aldo Micciché. Ex politico democristiano condannato per vari reati e fuggito in Venezuela, Miccichè è uno degli uomini al centro dell’inchiesta Cent’anni di storia, che documenterà i contatti tra i Piromalli e Dell’Utri. L’indagine venne ribattezzata così perché, come dice un boss intercettato, le “famiglie” di Gioia Tauro “hanno insieme cent’anni di storia“. Di quella storia Micciché sa molto: viene intercettato più volte al telefono con Antonio Piromalli, nipote del boss che aveva dichiarato ufficialmente il suo voto per Berlusconi. L’obiettivo di Micciché e dei boss è uno, sempre lo stesso: tentare di alleggerire il 41 bis per i detenuti mafiosi. Situazione in cui si trova in quel momento Giuseppe Piromalli. Dopo aver tentato senza successo un approccio con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, Micciché si rivolge a Dell’Utri. E ottiene dal senatore un appuntamento per Gioacchino Arcidiaco, legato da una strettissima amicizia ai Piromalli. “La Piana è cosa nostra, faglielo capire”, spiega Micciché ad Arcidiaco. “Vai, parlare con Marcello Dell’Utri, parliamoci chiaro, significa l’anticamera di Berlusconi… forza!”. Arcidiaco è ricevuto dal fondatore di Forza Italia il 3 dicembre 2007, nel suo studio di via Senato 12 a Milano.

Piromalli console onorario – Gli investigatori documentano l’incontro, ma non possono piazzare alcune cimice per ascoltare i due, visto che all’epoca Dell’Utri era un parlamentare. Il giorno dopo, stando alla ricostruzione dei pm, Arcidiaco torna dal senatore e incontra i responsabili giovanili di Forza Italia per organizzare la nascita di Circoli della libertà nella Piana di Gioia Tauro. Nella sentenza di condanna la Cassazione ricorda che sarà sempre Miccichè a consigliare “nuovamente all’Arcidiaco di rivolgersi al ‘senatore’ per la questione della nomina di Antonio Piromalli a console onorario“. Quella richiesta non avrà seguito: fare console il rampollo del clan di Gioia Tauro era davvero troppo.

Fonte Il Fatto Quotidiano

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