Riduzione e mantenimento in schiavitù, maltrattamenti in famiglia e usura. Questi i reati contestati dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, nell’ambito di un’indagine che vede quale vittima e parte offesa Ewelyna Pytlarz, la donna polacca moglie di Domenico Mancuso (fratello dei più noti boss Giuseppe Mancuso, 59 anni, alias “Pino Bandera”, e Pantaleone Mancuso, 58 anni, detto “Scarpuni”) divenuta dal dicembre 2013 testimone di giustizia. Il pubblico ministero ha chiuso le indagini preliminari nei confronti di quattro indagati. Il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù, aggravato dalle modalità mafiose, viene contestato a Domenico Mancuso, 45 anni, ed alla madre Giulia Tripodi, 80 anni, di Limbadi, per aver costretto Ewlyna Pytlatrz a vivere in condizioni insostenibili, vietandole di avere contatti con terze persone senza preventiva autorizzazione e, comunque, sempre in regime di stretto controllo e sorveglianza. Domenico Mancuso e Giulia Tripodi avrebbero poi costretto la donna polacca a lavori defatiganti, sfruttandola nella lavorazione del pane in un forno di famiglia senza alcun rispetto per gli orari lavorativi. La donna sarebbe poi stata oggetto di ripetute violenze e minacce, colpita con pugni e calci in pancia, con l’avvertimento da parte di Giulia Tripodi che, ove si fosse ribellata, le avrebbero fatto fare la stessa fine di Santa Buccafusca (deceduta il 16 aprile 2011 ingerendo acido muriatico), ovvero la moglie di Pantaleone Mancuso, oppure le avrebbero tagliato la testa. Ewlyna Pytlatrz all’epoca era fra l’altro madre di una bambina in tenerissima età. Le contestazioni coprono un arco temporale che va dal 2006 al dicembre 2013 e vedono quali luoghi di commissione i paesi di Limbadi e Nicotera.
Il reato di maltrattamenti in famiglia viene poi contestato con l’avviso di conclusione indagini alla sola indagata Giulia Tripodi, mentre per il figlio Domenico Mancuso (marito di Ewelyna) la posizione è stata stralciata ed ha proceduto in tal caso la Procura di Palmi. Fra gli indagati figurava anche Salvatore Mancuso (cl. ’36), marito di Giulia Tripodi e padre di Domenico Mancuso (nonché fratello dei più noti boss Ciccio, Domenico e Pantaleone, tutti deceduti, Antonio, Giovanni. Cosmo Michele e Luigi) che nel frattempo è però deceduto. Alla Tripodi, in particolare, viene contestato di aver maltrattato la nuora e la nipotina minorenne costringendole a subire offese continue da parte di Domenico Mancuso il quale avrebbe omesso di provvedere ai bisogni primari della figlia appena nata (evitando di comprargli medicine e pannolini), disinteressandosi delle condizioni di salute della moglie in procinto di partorire. Anche in questo caso le contestazioni sono aggravate dal metodo mafioso e dall’evocazione dell’appartenenza al clan Mancuso.
L’accusa di usura – aggravata dal metodo mafioso – viene invece mossa a Giulia Tripodi in concorso con Roberto Cuturello, 52 anni, di Nicotera, congiunto dei Mancuso. In questo caso, Giulia Tripodi avrebbe prestato (dal marzo 2003 al 31 agosto 2009) del denaro ad usura ad Antonio Agostino, 61 anni, di Nicotera, mentre Roberto Cuturello avrebbe provveduto alla materiale riscossione dei crediti. Lo stesso Antonio Agostino è a sua volta indagato per il reato di favoreggiamento personale in quanto avrebbe dichiarato agli inquirenti – contrariamente al vero, secondo l’accusa – di non aver mai ricevuto richieste di restituzione di denaro da parte di Giulia Tripodi, né di aver mai sentito parlare di interessi. Tutti gli indagati avranno ora venti giorni di tempo per chiedere al pm di essere interrogati o presentare eventuali memorie difensive.
Ewelyna Pytlarz si trova attualmente in località protetta dopo aver testimoniato in diversi procedimenti penali contro il clan Mancuso, raccontando anni di vessazioni e violenze subite in prima persona nonché le attività illecite di cui era venuta a conoscenza durante la convivenza con Domenico Mancuso. Dopo le sue dichiarazioni, nel dicembre del 2013 la polizia aveva fatto irruzione nell’abitazione dove viveva la donna, trovando denaro contante per circa 60mila euro, nascosto anche all’interno di un materasso, e un registro sul quale venivano annotate le somme date in prestito a diversi “clienti”.
Fonte Il Vibonese, che ringaziamo