di Lucio Musolino e Giuseppe Pipitone

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Nega, glissa, prova spesso a cambia discorso ma torna a lanciare segnali. E ammette di aver avuto l’intenzione di inviare messaggi a Silvio Berlusconi. Oggetto della comunicazione: “Doveva ricordarsi che io sono ancora vivo“. Giuseppe Graviano torna a parlare dell’ex presidente del consiglio. E lo fa ammettendo di aver chiesto al compagno d’ora d’aria, Umberto Adinolfi, d’inviare un messaggio a Berlusconi. Dopo l’interrogatorio fiume di una settimana fa, Graviano ha continuato la sua deposizione durante il processo ‘Ndrangheta stragista, in corso davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, dove è accusato dell’omicidio di due carabinieri. Non è un pentito, ma un mafioso stragista sepolto al 41 bis da molteplici ergastoli. Non è un collaboratore ma un imputato: come tale può mentire. E infatti nega praticamente ogni accusa. “Io- sostiene – non ho fatto le stragi, sono innocente. Ho una dignità, una serietà, non dico bugie”. Dice anche che “sono state fatte leggi incostituzionali, perché la corte costituzionale li sta dichiarando incostituzionale”. Quali leggi? “Quelle fatte per non farci uscire dal carcere, dopo che ci hanno accusato delle stragi“. Oggi è tornato a dipingere il suo arresto, a Milano nel gennaio del 1994, come “un progetto che è stato voluto da più persone“. Cosa intende dire? “Dopo essere stato arrestato – ha detto Graviano – ogni giorno ricevevo visite, e non so se venivano registrate. C’erano carabinieri, poliziotti. E alla fine mi hanno detto: ‘Ora le accuseremo tutte le stragi d’Italia, da qui non uscirà più. E poi ho ricevuto l’ordinanza di custodia cautelare di Roma”.

“Berlusconi ha tradito Dell’Utri” – La novità è che finalmente Graviano fa il nome di Marcello Dell’Utri. Lo storico braccio destro di Berlusconi fino a oggi ha recitato il ruolo del convitato di pietra nei racconti del boss di Brancaccio, che da tre udienze risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Per la corte di Cassazione, infatti, Dell’Utri è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra l’ex premier e Cosa nostra almeno fino al 1992. Per la corte d’assise di Palermo, invece, i rapporti tra Dell’Utri e il clan sono proseguiti anche negli successivi ed erano intrattenuti con lo stesso Graviano. Il boss di Brancaccio dimostra di essere ferrato sulle sentenze: “Dell’Utri è stato condannato solo fino al 1992, poi non hanno creduto a Spatuzza”. Quindi pronuncia una frase sinistra: “Berlusconi ha tradito anche Dell’Utri, ha danneggiato anche il signor Dell’Utri“. In che senso? “Ha fatto leggi che hanno danneggiato anche lui e tutti i detenuti al 41 bis. Per non fare uscire noi dal carcere, ha iniziato a fare leggi”.

“Volevo mandare un messaggio a Berlusconi, levati i debiti” – Madre natura, come lo chiamavano i suoi uomini, aveva già fatto il nome di Berlusconi quando l’aggiunto Lombardo gli ha contestato alcune intercettazioni in carcere con Adinoldi, durante le quali Graviano sembra chiedere al compagno di socialità di aiutarlo per far pervenire un messaggio a qualcuno fuori dal carcere. A chi si riferisce? “Riguarda sempre i soldi di mio nonno investiti con Berlusconi, lui non rispettava il patti. E mio nonno aveva accordi con queste persone”, risponde Graviano, spiegando che nonostante sia sepolto al 41 bis da 26 anni sente ancora una sorta di responsabilità con le persone che avevano investito a Milano tramite suo nonno. “Io non volevo fare brutta figura con l’impegno di mio nonno verso quelle persone”. Ma che tipo di messaggio voleva inviare a Berlusconi? E tramite chi? “Io ho detto di avvicinare una persona a lui vicina e digli di andarsi a levare i debiti, perché lui sa tutto”. I fatti raccontati da Graviano, però, risalgono agli anni ’90, perché il boss di Brancaccio ci pensa solo nell’aprile del 2016 a mandare un messaggio a Berlusconi? “Perché il signor Adinolfi doveva essere scarcerato a breve. Doveva solamente ricordare a Berlusconi che io ancora sono vivo. Mio cugino Salvo era morto, ma io sono vivo”. Il pm lo incalza: “Lei aveva esigenza di mandare messaggi a Berlusconi anche prima?”. Risposta: “Sì, perché a me interessava rispettare gli impegni per le persone che hanno il 20% da dividere tra loro”. Quindi è tornato a citare la scrittura privata, che secondo lui, dovrebbe provare gli investimenti dei palermitani nelle aziende di Arcore: “La scrittura privata c’è. C’è una lettera del 2002, mi scrive mia cugina e mi dice: tuo cugino vuole parlare con te. Ma chi era l’uomo scelto da Adinolfi per far pervenire questo messaggio a Berlusconi? “Dottore, non mi faccia fare il nome, per cortesia”.

“Ho incontrato Berlusconi”- Sette giorni fa Graviano aveva sostenuto che Filippo Quartararo, suo nonno materno, era stato il primo contatto tra la famiglia e i palermitani che hanno investito denaro a Milano. “Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al nord. Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito”. La smentita dell’avvocato Niccolò Ghedini e l’annuncio di querele sono arrivate praticamente a udienza in corso. Graviano è entrato nel dettaglio degli investimenti citati: “Venti miliardi di lire con il venti percento. Quando è morto mio padre, mio nonno mi prese in disparte e mi disse ‘Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì”. Il vecchio Quartararo muore nel 1986, Michele Graviano, padre di Giuseppe nel 1982. In quei quattro anni Graviano sostiene di aver avuto il tempo di fare la conoscenza di Berlusconi. “Dopo la morte di mio padre, mio nonno mi dice: c’è sta situazione, io sto andando avanti. Tuo papà non vuole che mi rivolgo a voi. Io e mio cugino Salvo abbiamo detto: ci pensiamo. Ci siamo consigliati col signor Giuseppe Greco. E abbiamo deciso di sì e siamo partiti per Milano. E mio nonno ci ha presentato al signor Berlusconi, abbiamo capito cosa era questa società”. Il boss di Brancaccio sostiene di aver incontrato “tre volte” Berlusconi a Milano, persino quando era latitante.

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