Nel 2012 l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini lo aveva nominato consigliere per le tematiche inerenti i parchi nazionali “sulla base delle esperienza e della comprovata competenza professionale adeguata allo svolgimento dell’incarico”. A distanza di 6 anni, per la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro il maresciallo dei carabinieri forestali Carmine Greco aveva un ruolo stabile nella ‘ndrangheta che controlla il patrimonio boschivo della Sila. Arrestato a Cosenza con l’accusa di associazione mafiosa, Greco, fino a ieri, guidava la stazione di Cava di Melis nel Comune di Longobucco. Una misura eseguita dopo che il gip ha firmato un’ordinanza chiesta dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dai sostituti procuratori della Dda Paolo Sirleo e Domenico Guarascio.
Stando all’inchiesta, condotta dai carabinieri del Noe di Catanzaro, il maresciallo Greco, conosciuto negli ambienti criminali con il soprannome di Carminuzzo, da una parte favoriva gli imprenditori Spadafora, ritenuti espressione delle cosche cirotane e finiti nell’inchiesta “Stige”, e dall’altra si faceva aiutare da questi per manipolare un’indagine su una dirigente di Calabria Verde e un agronomo poi arrestati dalla Procura di Castrovillari anche grazie ad alcune prove confezionate ad arte. L’inchiesta è un filone dell’operazione “Stige” che a gennaio aveva portato all’arresto di oltre 170 persone. Tra gli altri, la Dda aveva stroncato la cosca Farao-Marincola di Cirò Marina che, oltre ad allungare i suoi tentacoli in Germania e sul Crotonese, aveva in mano l’affare dei boschi sul Cosentino. L’inchiesta adesso rischia di interessare diverse procure e tirare in mezzo pezzi delle istituzioni che hanno avuto a che fare con il maresciallo Greco il cui nome è stato fatto anche dal collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, ex capo locale di Belvedere Spinello.
Fin dal 2005, il pentito aveva organizzato un vero e proprio sistema per controllare gli appalti di taglio dei boschi avvicinando alcune ditte del settore, tra cui i fratelli Spadafora di San Giovanni in Fiore. Stando agli accertamenti eseguiti dal maggiore Gerardo Lardieri e dai suoi uomini, col tempo gli Spadafora da semplici “imprenditori di fiducia” sono diventati “il braccio” della consorteria criminale e tramite loro “la ‘ndrangheta avvicinava guardie forestali che si ponevano a disposizione e orientavano i controlli secondo il gradimento dell’associazione criminale”. Il collaboratore di giustizia parla di versamento di “mazzette” periodiche e di forestali “stipendiati” che permettevano alle imprese amiche, e in particolare alla ditta Spadafora, di effettuare tagli di legname senza alcuna autorizzazione”.
Ecco quindi che se le segnalazioni di abusi riguardavano imprenditori vicini agli Spadafora, il maresciallo Greco chiudeva un occhio: “Guardiamo quattro cose e ce ne andiamo. Non si vede un cazzo, poi ci sediamo e scriviamo”. Tra la ‘ndrangheta e il sottoufficiale arrestato era un do ut des. Se gli “amici degli amici” non si toccano e potevano distruggere i boschi della Sila a piacimento, al maresciallo ogni tanto serviva qualcuno da dare in pasto ai magistrati. “Gli facevano fare numeri… denunce, arresti. Che cazzo gliene fregava”. Tra gli arresti eseguiti dal maresciallo con il contributo della ‘ndrangheta c’è anche quello di Antonietta Caruso, la dirigente di Calabria Verde (la società in house della Regione Calabria) finita ai domiciliari a fine aprile assieme all’agronomo Salvatore Procopio. La Procura di Castrovillari aveva delegato l’indagine al maresciallo Greco che, nell’ottobre 2017, aveva fermato la donna in un posto di blocco trovandola in possesso di 20mila euro appena dati dai suoi amici Spadafora per una pratica relativa a un lotto boschivo.
Questo ha consentito a Greco di chiedere al magistrato di Castrovillari, titolare dell’inchiesta, l’autorizzazione a intercettare il telefono della dirigente di Calabria Verde. Proprio a ridosso della scadenza del periodo di intercettazione, per ottenere dallo stesso pm una proroga del decreto, al maresciallo serviva una “svolta investigativa”. E gliel’ha fornita l’amico imprenditore boschivo Antonio Spadafora che, guarda caso, proprio dopo essersi visto con il maresciallo Grego ha inviato alla dottoressa Caruso un sms “oltremodo eloquente ed esplicito in cui descriveva la propria delusione rispetto alla dazione di 20mila euro alla quale non era conseguito lo sblocco dei lotti boschivi, in base a quanto la funzionaria pubblica aveva promesso”.
“Quel messaggio ce l’ha mandato proprio l’ispettore Greco”. Durante un colloquio intercettato è lo stesso Antonio Spadafora a smascherare il maresciallo che, con quel messaggino, ha potuto chiedere al pm di Castrovillari di tenere ancora sotto intercettazione la dirigente di Calabria Verde. I rapporti con gli Spadafora, quest’ultima ce li aveva ma, come commentano altri carabinieri forestali nella caserma di Longobucco, “è stata un poco messa in mezzo”, “lui (il maresciallo arrestato, ndr) gli scriveva i messaggi (a Spadafora, ndr)”. In sostanza con un colpo solo, Greco è riuscito a far assumere all’amico Spadafora la posizione “di imprenditore concusso”, sicuramente più leggera di quella reale di imprenditore “facente parte della criminalità organizzata”.
Gli uomini del maggiore Lardieri sono riusciti a piazzare una microspia anche nell’auto di servizio di Greco. Dalle sue conversazioni è emersa pure una fuga di notizie. Dopo l’arresto degli imprenditori Spadafora nell’operazione “Stige”, infatti, il maresciallo ex consigliere del ministro in qualche modo ha scoperto di essere indagato e parlando con altri esponenti delle forze dell’ordine ha ipotizzato subito una linea difensiva: “Qualora ravvisi un abuso d’ufficio o un’omissione d’atti d’ufficio tu devi estrapolare quel fatto e lo devi mandare alla procura ordinaria”. La paura del maresciallo Greco era di finire indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro: “Il verbale è del 2014. – dice – Siamo nel 2018, sino a scriverla e che arrivi l’avviso è prescritto, 5 anni sono”. Gli è andata male. La telefonata in cui ha invitato Spadafora in caserma per aggiustare un verbale è finita sulla scrivania del procuratore Gratteri e dei pm Sirleo e Guarascio. E per lui si sono spalancate le porte del carcere con l’accusa di associazione mafiosa.
La voce cosentina