Di Antonello Troya
Trasportato d’urgenza al Pronto soccorso della Casa di Cura Tricarico per un infarto al miocardio, muore poco dopo. Sotto indagine per circa due anni sei persone, 5 medici e un infermiere della Casa di Cura Tricarico. Ora per loro è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio, a firma di Rosamaria Mesiti. Si tratta di Adolfo Chimenti, Domenico Buonfiglio, Emanuela Pitassi, Adolfo Ricioppo, Annarita Ritacco e Raffaele Bianco. L’udienza è fissata al prossimo 16 maggio. A morire sul lettino dell’ospedale privato Michele Palermo. Secondo il Pm avrebbero provocato la morte dell’uomo per “imperizia, imprudenza, e negligenza”. Devono rispondere di cooperazione nel delitto colposo e omicidio colposo.
I fatti. Michele Palermo si sarebbe sentito male nel pomeriggio di due anni fa. Portato d’urgenza nel pomeriggio al Pronto soccorso dopo un po’ viene visitato dagli operatori sanitari. Il quadro clinico presentato era abbastanza critico, connotato da pregressa cardiopatia ischemica in soggetto già sottoposto ad impianto di stent coronarico. L’uomo avrebbe riferito di sentire un forte dolore al petto. Secondo l’accusa “per colpa consistente in imperizia, imprudenza, e negligenza ed in particolare con condotta omissiva consistita nella decisione di differire la visita specialistica cardiologica, l’ecocardiografia e l’azione terapeutica, ad un momento successivo rispetto alla valutazione comparativa del tracciato, avrebbero determinato un ulteriore aggravamento del già complesso quadro clinico che avrebbe portato al decesso del paziente, intorno alle 15.30”. Secondo il quadro accusatorio, quindi, se si fosse intervenuti subito con le visite specialistiche forse l’uomo si sarebbe potuto salvare. La morte del Palermo fu dovuta ad un “infarto acuto del miocardio con dissociazione elettromeccanica in soggetto portatore di stent”. In prima sede il Pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione. L’avvocato Alessandro Gaeta, difensore dei familiari del Palermo, si era opposto chiedendo l’imputazione coatta di tutti gli indagati. Nel mese di maggio dello scorso anno Gaeta aveva chiesto riesumazione del cadavere per un esame autoptico. A sostegno della tesi accusatoria anche registrazioni telefoniche che chiarirebbero alcuni punti della vicenda. Il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di archiviazione.
“Il consulente del Pm – scrive il giudice per le indagini preliminari – sebbene da un lato evidenzia di non poter affermare con criterio di certezza oltre ogni ragionevole dubbio che la morte di Michele Palermo sia da porre in rapporto di causalità con la condotta negligente, imprudente ed imperizia dei sanitari, dall’altro afferma che la decisione di differire la visita cardiologica, l’ecografia e l’azione terapeutica ad un tempo successivo rispetto alla valutazione precedente, costituisca un errore che ha privato il paziente della teorica possibilità di conseguire un risultato utile, ovvero di vivere”.
Dati che secondo il giudice segnalano omissioni e ritardi di in merito ad un evento rientrante nel cono d’ombra dei rischi che dette attività sono finalizzate a fronteggiare. Il procedimento viaggia di pari passo ad un altro che prevede l’ipotesi di falso, per il quale si procederà in separata sede.