Di Arcangelo Badolati
Fonte ed articolo Gazzetta del Sud
Un delitto quasi… perfetto. Lisa Gabriele, 22 anni, di Rose, venne trovata cadavere il 9 gennaio del 2005 in un boschetto posto al confine tra Montalto e Rende. Doveva sembrare un suicidio.
E il raffinato piano elaborato per confondere gli investigatori e rendere impalpabile la verità – si legge sulla Gazzetta del Sud in edicola -, contemplò l’abbandono vicino al corpo della ventiduenne di due bottiglie di superlacolici, di una scatola di psicofarmaci e di un bigliettino di addio.
La tesi dell’atto autodistruttivo, già dai primi rilievi compiuti sulla scena del crimine, non convinse tuttavia i carabinieri e il magistrato inquirente, Antonio Tridico. Troppi tasselli sembravano scomposti. O meglio, ricomposti frettolosamente.
L’esame tossicologico nei giorni successivi rivelò, infatti, che la ragazza, prima di morire, non aveva assunto sostanze psicotrope o stupefacenti, nè bevuto wisky. L’esame necroscopico acclarò subito l’assenza sul cadavere della ragazza di qualsiasi traccia di violenza.
Niente segni di strangolamento sul collo, nessuna ferita da difesa agli arti, nessuna lesione alle costole. Il decesso – stabilirono i medici legali – era intervenuto per mancanza di ossigeno. La ragazza era stata soffocata con un cuscino.
Di certo non era morta nel boschetto di Montalto. Nella zona dove venne trovato il corpo, infatti, furono successivamente individuate impronte di pneumatici che non corrispondevano a quelli dell’utilitaria di Lisa. Anche la posizione del cadavere, comunque, aveva in questo senso suscitato delle perplessità. La ventiduenne era distesa in modo innaturale, con gambe e braccia contratte.
In effetti Lisa morì nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 gennaio del 2005. Il corpo venne rinvenuto solo la mattina di domenica 9 grazie a una telefonata anonima. L’assassino ebbe perciò il tempo di spostare la salma dall’originario teatro del delitto e di “preparare” la scena del rinvenimento.
Una perizia calligrafica comparativa rivelò che solo una parte del finto bigliettino d’addio trovato sulla Fiat 500 era stato scritto dalla ventiduenne. Si trattava, in particolare, del frammento in cui non si faceva alcun riferimento a scelte suicide. Le frasi d’addio, invece, erano state scritte da altri. La circostanza rappresentò per il pm Tridico la prova definitiva e inconfutabile della messinscena. Il delitto, però, rimase impunito.
Non fu infatti possibile individuare il responsabile del delitto. A quattordici anni di distanza il caso è stato adesso riaperto. Perché? Grazie a un esposto anonimo recapitato all’autorità giudiziaria, al questore di Cosenza e al nostro giornale.
Nel documento, ricco di particolari, si fa esplicito riferimento alla responsabilità di un poliziotto che aveva con la vittima una relazione amorosa. Poliziotto che già nell’agosto precedente alla consumazione dell’omicidio avrebbe picchiato Lisa costringendola a ricorrere alle cure ospedaliere.
Nell’esposto si fa cenno anche a un investigatore privato ingaggiato inizialmente dai familiari della vittima ma poi minacciato e indotto a mollare il caso e a un collega del poliziotto che sarebbe a conoscenza di tutto ma non avrebbe mai parlato.