(Franco Caminiti) – In questi giorni si moltiplicano su Facebook le attestazioni di stima nei confronti del procuratore Gratteri, quasi a compensare lo spazio che la grande operazione antindrangheta non ha avuto sulla stampa. La frase che leggo di più sotto la foto del ‘grande calabrese’ è “io sto con Gratteri”.
Ma siamo davvero sicuri di stare con Gratteri?
Quando con una dimostrazione di furbizia abbiamo ottenuto ciò che non ci spettava; quando l’amico dell’amico ha sistemato in banca il nostro figliolo sebbene fosse un asino a scuola; quando il nostro commercialista con un giro strano ci ha fatto risparmiare qualche decina di migliaia di euro di tasse, siamo sicuri di stare con Gratteri? E quando, invitati a cena con persone ineccepibili, a fine serata scopriamo che fra noi c’era un boss della mafia, ed era lì, seduto al nostro fianco, e il giorno dopo parlando con un amico gli confidiamo orgogliosi: ‘sai con chi ero a cena ieri sera…?’. Perché noi odiamo la mafia, ma poi ci sentiamo più forti se stringiamo la mano a qualcuno di ‘quelli’. Quando abbandoniamo la nostra terra, ‘perché qui non c’è speranza’, e lasciamo spazio a chi la speranza la uccide sostituendosi allo Stato, alla legalità. Quando sappiamo bene di avere abbandonato il fronte della battaglia per andare lontano, dove speriamo ci siano più opportunità. Quando nel nord pensiamo che la ndrangheta lì sia meno pericolosa, meno invasiva, meno ‘sporca’, e non ci pensiamo due volte a contrattare affari sul filo della legalità, siamo sicuri di stare con Gratteri? Quando a nostro figlio regaliamo l’ultimo telefonino, e andiamo a difenderlo a scuola se ha fatto una ‘ragazzata’, sperando così di ‘comprare’ il suo affetto, quell’affetto che non gli abbiamo saputo insegnare, come l’amore per il sapere, il rispetto per il sacrificio, e avalliamo la sua idea che: ‘tanto la scuola non serve a un cazzo se poi hai gli amici che ti danno la pedata giusta’. Ecco: la pedata giusta, quella che ti viene dall’amico politico che è stato eletto coi voti dell’amico mafioso.
E’ lì il ‘nostro’ essere mafiosi, nella nostra accettazione del privilegio immeritato, nel concetto di: ‘figlio mio fatti furbo’. Perché se la mafia ha pervaso tutti i gangli dello Stato, è perché siamo tutti mafiosi dentro, senza volerlo ammettere: quelli che noi chiamiamo ndranghetisti sono criminali ma, in fondo, persone che hanno fatto della comune e diffusa mentalità mafiosa un modello di vita da esasperare nel mondo degli affari. Quando rifiutiamo che all’ingresso del Parlamento si faccia una prova per verificare se gli ‘onorevoli’ hanno fatto uso di droghe, e dagli scranni di Montecitorio chiediamo la legalizzazione delle droghe ‘leggere’, siamo sicuri di stare con Gratteri? Ci rendiamo conto che vogliamo una legge che contrasta profondamente con la filosofia di Gratteri? Con i suoi consigli, che vengono da una profonda conoscenza del problema? Siamo sicuri di ‘meritare’ il rischio che Gratteri corre giorno per giorno, il clima di paura in cui vive ormai da decenni? Noi non siamo degni di Nicola Gratteri, come non eravamo degni di Falcone, di Borsellino, degli altri 30 giudici antimafia uccisi e di cui non abbiamo più memoria.
No, noi non siamo degni di queste persone straordinarie, perché non abbiamo imparato nulla dal loro sacrificio!