Di Francesca Lagatta
Anna è seduta in una stanza silenziosa. Guarda il suo psichiatra, cerca il suo sguardo, invoca umana pietà, ma lui la ignora. E’ come se non esistesse. «Dottore, mi guardi, cosa le ho fatto?». Niente. Anna raccoglie le sue cose, è in preda all’angoscia. «Allora sono davvero pazza?». Non si dà pace. E’ confusa. Vorrebbe solo correre in garage a tagliare con la motosega le sue gambe, nella speranza di mettere fine ai dolori lancinanti che le impediscono di camminare ormai da troppo tempo. Ma respira profondamente e mantiene la calma. Come chi sa trovare dentro di sé l’ultimo barlume di pazienza e lucidità. Anna ancora non sa che quegli attimi sono l’inizio della sua rinascita. Il suo è un nome di fantasia, ma la sua storia, assurda al punto da sembrare un romanzo, è certificata da centinaia di documenti raccolti in decine di cartelle mediche accumulate in cinque anni di ricoveri in varie strutture sanitarie della Calabria, e non solo. Anna è una donna di 41 anni, residente a Santa Maria del Cedro, che dal 2012 è stata curata con potenti psicofarmaci per una grave forma di depressione. Poi, nel 2017, tre medici, uno dopo l’altro, l’aiutano a sollevarsi dal baratro in cui è sprofondata e contribuiscono all’incontro con quello che lei definisce il suo angelo, colui che gli restituisce la voglia di vivere. E’ così che scopre finalmente di non essere una malata “immaginaria”. Per anni le avevano fatto credere di aver somatizzato il dolore, invece è affetta da una patologia seria e invalidante. Anna non cammina perché ha la sindrome da ancoraggio midollare, ma in forma rarissima. Un caso, il suo, che al momento sembra essere unico al mondo. Ora che il peggio è passato e ha ripreso in mano la sua vita, la donna ha deciso di rendere pubblica la sua vicenda.
Le origini del dramma
E’ il 2011 e ad Anna le viene diagnosticato un tumore. Non si abbatte, lotta con coraggio e alla fine vince. Il mostro non c’è più. Ma non fa in tempo a riprendersi che la vita le infligge un colpo ancora più duro: il suo adorato papà muore tragicamente. Anna è sconvolta, ma cerca di reagire, anche per amore dei suoi tre figli. Qualche tempo dopo, però, deve fare i conti con un blocco alla schiena e con i dolori lancinanti alla testa, successivamente con una inspiegabile paralisi alla gamba sinistra. Ma tutti gli esami a cui si sottopone, comprese le risonanze magnetiche, danno esito negativo. I dottori che la tengono in cura di volta in volta non le credono, sono convinti che il suo malessere sia solo frutto della sua immaginazione. E la diagnosi ha sempre un comune denominatore: la depressione. Per i medici Anna non ha elaborato il lutto di suo padre, reso ancora più drammatico da numerose altre circostanze.
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La diagnosi di psicopatia con disturbo conversivo
Il dolore non lascia Anna nemmeno per un istante e, nonostante la diagnosi depressiva, non si rassegna. Continua a girare di ospedale in ospedale in cerca di una soluzione, perché dentro di sé sa di non essere depressa. Ma ogni qualvolta i dottori cominciano a scavare nella sua vita privata, prescrivono visite psichiatriche. L’ennesima diagnosi, poi, è agghiacciante: psicopatia con disturbo conversivo. Pazzia mista a isterismo. Anna è confusa, ha paura, non riesce a reagire. All’ennesimo bollettino si rassegna, comincia a prendere i farmaci perché pensa che forse i medici hanno ragione. Le pillole sono talmente potenti che la costringono a letto anche per due giorni, lasciandola in una sorta di coma vigile, ma i dolori alla gamba non solo non scompaiono, aumentano. D’improvviso smettono di funzionare entrambe. Anna non cammina più.
Messa a dura prova
E’ il 2017. Anna è in cura ormai da cinque anni, senza successo. Il percorso terapeutico la spinge nelle mani di uno psichiatra di una struttura sanitaria pubblica di Scalea. Anna dice al medico di non essere né pazza né depressa e lui le dà fiducia, la mette alla prova. La paziente entra nella stanza, lo saluta, lui non risponde. Lei parla, lui la ignora. Completamente. Ed è così tutte le volte che Anna varca la soglia dello studio. E’ confusa, è frastornata non capisce. Ma non reagisce. Nessuna reazione violenta o esagerata, nessuna crisi isterica. Lo psichiatra le dà ragione: «Trovi un medico che curi le sue gambe, lei non soffre di alcun disturbo psichiatrico». Anna ha un sussulto di gioia.
La donna prende coraggio e butta via le scatoline dei medicinali. Con le ultime forze piomba all’ospedale di Cosenza e si fa visitare da un ex primario. Anche lui se ne accorge, Anna ha un disturbo reale alla colonna vertebrale, altro che somatizzazione del lutto. Solo che il nosocomio bruzio non è attrezzato per condurre indagini di un certo tipo e così il medico le consiglia una visita a Bologna, in un centro specializzato. Qui, a loro volta, le consigliano una visita con un luminare della medicina moderna, il professore Vanni Veronesi, che presta servizio all’Ospedale degli infermi di Faenza. Egli intuisce immediatamente che la donna ha seri problemi fisici e la sottopone immediatamente al primo di tre interventi, un’operazione di tipo mini invasivo del filum terminale e disancorazione del midollo. Una soluzione non ancora definitiva, ma che due ore dopo l’uscita dalla sala operatoria consente ad Anna di rimettesi in piedi e di vedere la sua schiena dritta, come non era da tempo. Soprattutto ottiene la giusta diagnosi: midollo ancorato occulto con doppio filum terminale nel coccige.
La rinascita
Medico e paziente sanno che la via della guarigione è un percorso lungo e tortuoso. Saranno due anni di vittorie e di cadute, di controlli e di attese, di lacrime di dolore e di gioia, durante i quali Anna, nonostante tutto, si riappropria della sua dignità. Dopo un secondo intervento, Anna entra per la terza volta in sala operatoria a novembre scorso. Quello, le dice il suo “angelo”, sarà l’ultimo atto, quello che le restituirà la sua libertà in modo definitivo. E’ un intervento un po’ più delicato, che però rimette ogni cosa a suo posto. Dopo quattro giorni Anna è già in piedi, da sola, cammina avanti e indietro nella stanza d’ospedale senza accusare alcun dolore. Non dovrà più soffrire, le sembra di volare. E’ in quel momento che rinasce per la seconda volta.
Il messaggio di Anna
«Ho deciso di raccontare questa storia – dice Anna alla nostra redazione – perché in Italia ci sono tanti altri pazienti nelle mie condizioni e come me vengono curati per depressione solo perché non si riesce a trovare la giusta diagnosi. A queste persone vorrei dire ciò che ha detto uno psichiatra a me durante una delle ultime visite, mentre mi trovavo seduta di fronte aspettando una diagnosi che in realtà non esisteva». Anna ricorda quelle parole come se le avesse sentite pronunciare ieri: «Si alzi signora, questo non è il suo posto. Lei ha davvero problemi fisici, cerchi un valido dottore che l’aiuti a guarire».