Riceviamo e Pubblichiamo

Com’è vero quel modo di dire che dice: “fino a che non ti capita, non puoi capire”. Una frase fatta che quando ci capita di ascoltare il più delle volte tendiamo ad esorcizzare con un bel: tanto a me non capiterà mai. Svilendo spesso il significato profondo che questa frase porta con se, il cui significato non è da “leggersi” in un augurio a passare le stesse disgrazie patite da chi ci rivolge questa espressione, ma un modo per coinvolgerci emotivamente nella comprensione di un dolore o di un disagio, ma anche di una gioia, una letizia, di cui potremmo non aver contezza.

Anche se va detto che è nell’accezione negativa che questo adagio è pronunciato. È quasi sempre a disgrazie che è riferito.

Ma non è l’unico significato attribuibile a questa espressione: questa comunicazione è anche un modo per renderci edotti di un problema che, anche se non ci tocca direttamente, deve interessarci in quanto cittadini, affinchè ognuno faccia la propria parte, in una ipotetica battaglia civile, per alleviare le altrui sofferenze. Un dovere civico e di coscienza.

Io sono uno di quelli che ha sempre esorcizzato questa frase, anche con gesti scaramantici al limite della decenza, senza mai addentrarmi o immedesimarmi in chi me l’ha rivolta.

Fino a che non mi è capitato, e non c’entra u picciu, di accompagnare un mio caro al Pronto Soccorso di Cosenza. Mi è capitato tanto volte di incorrere nel web, su Fb, sui giornali, in articoli che raccontavano l’odissea che si è costretti a subire una volta finti, nostro malgrado, nel Pronto Soccorso di Cosenza. Articoli che il più delle volte non aprivo e che non tenevo in considerazione, pensando spesso e volentieri: scrivono sempre le stesse cose. Ma cosa più grave non mi sono mai posto il problema di partecipare o di dare il mio contributo affinché, servizi di primaria importanza come questo, migliorassero. Nonostante le tante pubbliche chiamate a lottare per avere una sanità degna di questo nome. Non mi interessavo picchì un c’era ‘ngappatu.

Non sto qui a dirvi cosa abbiamo passato, né più né meno di quello che tutti passano quannu ci ‘ngappano: attese infinite, nessuno che ti dice nulla, confusione, e mancanze strutturali che aggravano ancor di più le condizioni di chi arriva al Pronto Soccorso con qualche malessere. Un’intera provincia, quando ne ha bisogno, si riversa presso questo Pronto Soccorso, e le defezioni sono la logica conseguenza di questo evidente “intasamento” del servizio. Pochi medici non possono far fronte a così tante persone. Anche se dovessero metterci, e in tanti lo fanno, tutto l’impegno di questo mondo. Un vero e proprio girone dantesco.

Per mia fortuna è finita bene, il problema non era grave, e dopo 5 ore di attesa siamo ritornati a casa, non prima però di aver imparato questa importantissima lezione di educazione civica: di fronte al malessere altrui non mi farò mai più “gabbu”.

Lettera Firmata

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