di Alessandro Pagliaro
Il cortometraggio di propaganda “Terra mia”, commissionato dalla Regione Calabria al regista Gabriele Muccino, e presentato al festival del cinema di Roma, delude ogni aspettativa. Scimmiotta in maniera plateale Giuseppe Tornatore di “Baarìa”, affidandosi alla sdolcinata interpretazione sentimentale di Raoul Bova e Rocìo Munõz. Cose già viste da altre parti, alla maniera di Dolce e Gabbana, con effusioni artefatte di profumi e sensazioni, da Calabria falsa e patinata. Mare, sole, colline, bergamotti, arance, mandarini e fichi, sono il catalogo delle banalità che fanno da sfondo agli otto minuti di pellicola da dimenticare. Nessuno pretendeva che in così poco tempo si materializzasse la prosa narrativa di Corrado Alvaro, la poetica di Leonida Repaci, il naturalismo pittorico di Aldo Turchiaro, la musicalità di Otello Profazio, la magia filmica di Vittorio De Seta e lo spiritualismo di San Francesco di Paola. Ma nemmeno nessuno si aspettava un prodotto così scadente, frutto concentrato del minimalismo assoluto di tutti i film di Muccino, a cominciare da “L’ultimo bacio” per finire a “Gli anni più belli”. Roba insomma da “Linea verde”, rubrica televisiva per propagandare agriturismo, cibo, vacanze e aria buona. Mettici anche i momenti “depressivi” che accompagnano tutte le immagini e i protagonisti dello spot, per concludere che di questo spot prolungato sulla Calabria non se ne sentiva proprio il bisogno.