Un memoriale pieno zeppo di nomi e cognomi di coloro che, a giudizio del pentito Nino Lo Giudice, sono all’interno di un circuito che si muove nell’ambito di massoneria, ‘ndrangheta e servizi segreti deviati. Una lunga lista, per buona parte corrispondente a quella già vergata nel secondo memoriale diffuso durante la sua latitanza, ma che adesso viene rivisita e corretta. Con diversi nomi aggiunti.
È così che il pentito Lo Giudice si presenta oggi alla terza udienza del processo “Gotha” che lo vede in qualità di teste dell’accusa. Così, mentre nelle due udienze precedenti, il pentito si è preoccupato di tratteggiare le linee essenziali delle sue conoscenze, soffermandosi più volte sulle figure diPaolo Romeo e Giorgio De Stefano, questa volta è tempo di completare e mettere a disposizione del Tribunale presieduto da Silvia Capone, il terzo memoriale. Quello, per intenderci, che il “nano” non riesce a finire perché arrestato dalla Squadra mobile di Reggio Calabria nel novembre del 2013.
I nomi più importanti
Ci sono tantissime persone in quell’elenco che Lo Giudice legge anche in maniera piuttosto veloce ed a tratti poco comprensibile. Fra gli altri, spicca il nome di don Stilo, il prete “aggiusta tutto”, spiega Lo Giudice. «Se c’era un problema, lui arrivava e risolveva la faccenda. Io però non l’ho mai conosciuto direttamente». È un refrain che si ripete più volte quello della conoscenza indiretta. Lo Giudice, infatti, afferma di aver appreso molti dei nomi riportati sia da Giovanni Chilà, boss morto da tempo, che da altri personaggi della ‘ndrangheta. Finiscono nel calderone professionisti come gli avvocati Lorenzo Gatto, Corrado Politi, Zumbo, Abate, Chizzoniti, gli stessi imputati Antonio Marra e Paolo Romeo, e così pure Mario Giglio. Vi sono anche magistrati di peso come coloro i quali furono citati nel precedente memoriale, Francesco Mollace, Alberto Cisterna, Francesco Neri, Giuseppe Tuccio, Vincenzo Giglio e Giancarlo Giusti. Spicca un nome nuovo, anche questo tutto completamente da verificare, anche in virtù di una storia personale ben lontana da qualsiasi coinvolgimento strano. Si tratta di Salvo Boemi, inserito da Lo Giudice in elenco, Ci sono anche Giacomo Foti, i fratelli Cedro, Dominique Suraci, l’ex dirigente ai LL. PP. del comune di Reggio Calabria, Marcello Cammera. C’è anche il nome di Giovanni Aiello che Lo Giudice inserisce nel novero dei membri dei servizi segreti insieme a Celona, Canale e Patané. Ed ancora i notai Poggio e Marrapodi. Ogni cosca, a giudizio del “nano” avrebbe avuto soggetti di riferimento legati ai servizi.
Il secondo memoriale, la paura e i Villani
Incalzato dalle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Lo Giudice spiega che, con il secondo memoriale, l’obiettivo era non far comprendere cosa stesse facendo. «Da qui la mia esigenza di scriverne un terzo, bisognava che vi facessi sapere cosa c’era sotto. Avevo la necessità di far sapere all’autorità giudiziaria quegli argomenti che avevo taciuto per paura». Il pm allora chiede perché si sia soffermato molto sull’omicidio del giovane Francesco Calabrò, il fratello di Giuseppe, killer dei carabinieri Fava e Garofalo. Francesco fu trovato, a distanza di anni, nei fondali del porto di Reggio Calabria a bordo della sua Smart rossa, dopo che i familiari ne denunciarono la scomparsa anni prima. A giudizio di Lo Giudice, «Consolato Villani non aveva confessato che la morte di Calabrò era stata a causa sua». È con il padre di Consolato, Giuseppe, che Lo Giudice parla di massoneria. Non sono affiliati, ma conoscono molta gente che lo è. In realtà parlano più di massoneria, servizi e ‘ndrangheta messi insieme.
Le nuove doti e la “cosa di seta”
Nel suo memoriale Lo Giudice parla anche delle nuove doti di ‘ndrangheta, conosciute sino al 2010, anno del suo pentimento. Si andava oltre il padrino, per raggiungere l’apice più alto con la corona e poi con la stella. Ma è soprattutto di una «società segreta» che Lo Giudice parla, riferendosi ad un gruppo ristretto di 7-8 persone, denominato “cosa di seta”. Di questo gruppo super riservato gli parlò Pasquale Condello, dicendogli che, oltre lui, ne faceva parte pure Giovanni Tegano. «È un gruppo che gestisce tutta la criminalità, è la cupola della ‘ndrangheta, così come mi aveva detto anche Giovanni Chilà». Dichiarazioni ovviamente tutte da approfondire e riscontrare, ma che forniscono ulteriori elementi al procuratore Lombardo per poter riscontrare la sua tesi sull’esistenza di una componente invisibile della ‘ndrangheta e, per tornare al processo “Meta” che sicuramente dovrà celebrarsi nuovamente, l’esistenza di un direttorio, direttamente collegato con le maggiori cosche reggine, non autonomo, ma in grado di assumere quelle decisioni che più contano nella strategia criminale.
Fonte LaCnews