di AMDuemila
“Il maresciallo Fichera voleva riaccreditarsi col Ros, per questo mi chiese di presentargli don Pino Strangio per un tentativo di accordo per la cattura di latitanti. Non ho mai fatto parte dei servizi segreti né sono stato confidente, ma ho conosciuto appartenenti ai servizi”. A riferire il fatto non è uno qualunque, ma l’avvocato Antonio Marra (in foto), imputato nel processo Gotha e sentito quest’oggi dal pm della Dda Stefano Musolino e dai suoi legali di fiducia, Francesco Calabrese e Giovanna Araniti.
L’avvocato, accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso e intestazione fittizia di beni, era finito in manette con l’operazione “Fata Morgana”, una delle cinque inchieste (insieme a Sistema Reggio, Reghion, Mammasantissima e Alchimia) della Dda di Reggio Calabria poi confluite nel maxi processo Gotha.
Secondo gli inquirenti sarebbe uno dei vertici della cupola segreta e braccio destro del “dominus” della loggia segreta massonico-mafiosa che ha governato le sorti della città di Reggio Calabria: l’avvocato Paolo Romeo.
Nel corso dell’esame Marra ha ripercorso alcune delle numerose intercettazioni nelle quali parlava con Paolo Romeo.
Rispondendo alle domande del pm Musolino, titolare del procedimento “Fata Morgana”, Marra ha negato di essere stato un confidente (“È una storia tutta inventata”) quindi, su sollecitazione del magistrato, ha fatto il nome del brigadiere Francesco Dell’Aglio come persona conosciuta nell’ambito dei servizi, ma la cui amicizia nacque all’epoca in cui lo stesso era parte del Ros (“Erano quelli nel cui gruppo c’era anche De Donno. A capo c’era Mori”).
Ma Marra ha anche riferito dei rapporti con il maresciallo Pati, il maresciallo Fichera e il colonnello Angiolo Pellegrini.
Così ha raccontato che il maresciallo Fichera, quando lavorava al Ros, gli avrebbe chiesto di presentargli don Pino Strangio, per oltre vent’anni rettore del santuario di Polsi, in Aspromonte nel territorio del Comune di San Luca. Il maresciallo avrebbe chiesto a don Pino Strangio “se è in condizione di far fare ai Carabinieri del Ros delle operazioni, l’arresto di qualche latitante, affermando che questa cosa l’aveva concordata con i dottori Cisterna e Gratteri, cosa alla quale – ha sottolineato più volte Marra – io non ho mai creduto”. Quindi ha proseguito: “Don Pino Strangio chiese se fosse possibile trasferire un detenuto del luogo da un carcere all’altro. Il latitante da poter far prendere era Francesco Strangio, alias Ciccio ‘Boutique’. Si trattava di un tentativo di accordo, ma la cosa cadde nel nulla, nonostante le pressioni di Fichera”. Quell’iniziativa, a detta di Marra, sarebbe stata completamente ignota ai magistrati. E a dimostrazione di ciò ha anche raccontato un altro episodio: “Ricordo che difendevo don Pino Strangio in un processo e andammo al Cedir. C’era un libro su Polsi e lui lo volle portare al procuratore Mollace. Con noi c’era Fichera e quando salimmo lui si fermò con Gratteri e noi andammo da Mollace. Fichera disse che Gratteri era a conoscenza di questa situazione, ma io non ci ho mai creduto, Fichera voleva solo riaccreditarsi con il Ros”.
Nel corso della deposizione Marra non ha comunque negato i suoi rapporti con i familiari del boss della montagna, don Ciccio Serraino: “Avevamo un ottimo rapporto con i suoi figli: Domenica, Nunzia, Domenico Sconti e Angela Vadalà. Ricordo che misi in contatto Mimma Serraino con il maresciallo Pati a causa di una situazione di stalking che la donna stava vivendo con alcune minacce. Lei aveva già esposto denuncia e voleva che si indagasse in maniera ulteriore per capire se si potesse venire a capo di questa situazione”.
Nel processo Gotha le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, voto di scambio, violazione della legge Anselmi, corruzione, estorsione, truffa, falso ideologico e rivelazione di segreti d’ufficio.
Al centro del dibattimento l’esistenza di una struttura segreta “riservata”, legata alla massoneria, grazie alla quale la ‘Ndrangheta interagiva con politici, istituzioni, mondo imprenditoriale e bancario, condizionando la vita democratica nella provincia di Reggio Calabria.
Tra gli imputati più illustri nel processo figurano l’ex senatore Antonio Caridi; l’ex parlamentare Paolo Romeo (che ha già scontato una condanna definitiva per concorso esterno); l’ex sottosegretario alla Regione Calabria nella Giunta Scopelliti di centrodestra Alberto Sarra.
A marzo 2018 si è concluso in primo grado il troncone abbreviato, che ha visto in particolare la condanna a 20 anni di carcere per l’avvocato Giorgio De Stefano, secondo l’accusa esponente di vertice dell’omonima cosca, una delle storiche cosche di ‘Ndrangheta del capoluogo.