Di Michele Presta
Poco meno di 60 metri, gli stessi che separano lo stabile Xxxxxx di Fuscaldo dal torrente Lavandaia, è lungo il tubo giallo attaccato alla elettropompa industriale di marca “Liverani” che la procura di Paola ha posto sotto sequestro. Dentro ci sono passati gli scarichi dei reflui di lavorazione provenienti dal ciclo produttivo dell’impianto tra i più importanti nel sud Italia nella manifattura dell’alluminio. Gli inquirenti, dopo una sequela di indagini, sono riusciti a fermare lo sversamento dei prodotti di lavorazione della vasca V9 dalla capacità di 10mila litri, situata all’interno dell’edificio in località Moschera, a fine dicembre del 2018. Ad oggi il fascicolo d’indagine, sul quale vige lo stretto riserbo, rimane aperto nei confronti di Antonio Franzese. Per come disposto dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Paola, al legale rappresentante della xxxxxx S.r.l. viene contestato il reato previsto dall’articolo 137 comma 1 del decreto legislativo 152 del 2006 che regola gli illeciti in materia ambientale. Qualora venisse rinviato a giudizio rischierebbe tra i 1.500 e i 10mila euro di multa o da i 2 mesi ai 2 anni di reclusione.
DALLA VASCA INDUSTRIALE AL MARE Il Lavandaia è un piccolo torrente che sgorga dalla catena dei monti costieri di Guardia Piemontese e Fuscaldo, il suo corso finisce dritto nel Mar Tirreno. Poco prima di 200 metri dall’arrivo in mare, il torrente fiancheggia con il suo argine destro lo stabile industriale dell’xxxxxx in cui si effettuano i trattamenti specifici di ossidazione anodica, elettrocolorazione e verniciatura su profili di alluminio. Il meccanismo di smaltimento illecito dei rifiuti, interrotto dai carabinieri all’alba del 21 dicembre del 2018 in flagranza di reato, sembrerebbe in base a quanto stabilito nell’ordinanza di convalida del sequestro preventivo del Gip di Paola ben orchestrato. «Durante il controllo sul sito –scrive il giudice- i carabinieri notavano la presenza di un tubo di plastica di colore giallo, del diametro di circa 8 centimetri, che fuoriusciva dalla parte perimetrale del capannone esposta a nord e, correndo lungo la superficie del piazzale antistante lo stabilimento, proseguiva verso l’argine destro del prospicente torrente Lavandaia». Il tubo giallo, insospettisce gli investigatori, circostanza che il giudice annota nella ordinanza. «A seguito di ulteriore verifica determinata dalla insolita presenza del tubo, si accertava che l’estremità dello sbocco del tubo era posizionata, in una ripida discesa sull’argine del torrente Lavandaia e che da tale sbocco fuoriusciva sostanza acquosa che cadeva direttamente nell’alveo del torrente, scorrendo in discesa da sopra il relativo argine destro. Il punto a cui era posizionato lo sbocco del tubo distava circa 200 metri dalla foce del torrente che si immetteva in mare». Il collegamento tra l’esterno e l’interno dello stabilimento veniva garantito attraverso un foro nella parete ed il tutto era alimentato dal lavoro dall’elettropompa finita sotto sequestro. «Nel momento in cui sono intervenuti i carabinieri l’elettropompa era in funzione –scrive il giudice-. E l’opposta estremità (quella all’argine del fiume ndr) era immersa in una vasca, identificata come V9, riempita per circa la metà del suo volume di sostanza acquosa che veniva attinta mediante aspirazione e convogliata lungo la conduttura descritta fino allo sversamento nell’alveo del torrente Lavandaia e quindi in mare». Insomma, la pompa industriale da un lato tirava gli scarti di lavorazione contenuti nella vasca V9 e dall’altro faceva in modo che finissero nel fiume.
L’ACQUA CONTAMINATA DAL SELENIO Lo stop allo sversamento illecito ed il contestuale sequestro in via d’urgenza della pompa industriale sono state poi una conseguenza in base ai risultati prodotti nei laboratori dell’Arpacal sui campionamenti fatti dopo l’intervento dei carabinieri. L’odore acido avvertito all’interno del capannone, che i militari annotano nella loro relazione ed il Gip richiama nell’ordinanza, è confermato anche dalle analisi sui campioni di acqua che si trovava nella vasca. «Alluminio e selenio sono superiori ai limiti riportati nel decreto legislativo 152 del 2006 –scrive il dirigente del servizio dell’Arpacal- per uno scarico di acque reflue in corpo idrico superficiale, il valore di pH riscontrato è risultato acido». Ma è nella campionatura che viene fatta all’esterno, nelle acque del torrente, che il Selenio è presente in una quota superiore rispetto a quanto previsto dalla legge. 35 metri a monte del tubo giallo dove avveniva lo sversamento, l’acqua del torrente non era contaminata. La quota di Selenio presente nel Lavandia è nella norma: 0.4 (mg/kg) rispetto al limite di 3 /mg/Kg) imposto dalla legge (parte IV Titolo V, allegato 5 tabella 1 colonna A del decreto legislativo 152 del 2006 ndr). Risultato diverso rispetto a quello ottenuto dall’analisi dell’acqua prelevata nel punto di scarico dell’impianto di depurazione in cui la il Selenio è presente con il valore di 11 (mg/Kg) rispetto ai 3 (mg/Kg) consentiti, mentre tocca quota 17 (mg/Kg) subito a valle dello sbocco del tubo giallo.
LA NOTIFICA DEL PROVVEDIMENTO Sia al comune di Fuscaldo che la Provincia di Cosenza sono stati notificati gli atti prodotti al momento della convalida del sequestro. E proprio le due amministrazioni potrebbero procedere con ulteriori accertamenti per disporre una eventuale bonifica del luogo. Le analisi effettuate contestualmente al sequestro della pompa industriali hanno certificato la violazione delle norme in materia di reato ambientale ma non sono esaustive per capire quale sia il reale stato si salubrità del luogo e gli eventuali danni prodotti all’intero ecosistema.
Articolo su Corriere della Calabria