Un lavoro deve garantire il corso continuo della vita e non toglierlo, perché è poco sano e fa male. Quello che si è deciso di riaprire per fare giustizia è il caso della fabbrica Marlane di Praia a Mare. È stata una nota fabbrica tessile che produceva lenzuola, tovaglie e fazzoletti distribuiti in tutta Italia, con all’ impiego negli anni ’60 circa 400 operai. Lo stabilimento fu chiuso quando la produzione venne spostata in Repubblica Ceca dalla famiglia veneta Marzotto, risalente all’ anno 2004, quando ormai 107 operai morirono pare a causa della Marlane. Si sospetta infatti che il capannone fosse ricoperto da cima in fondo di amianto e veleni, come avrebbero testimoniato i familiari delle vittime, sottolineando anche, sempre secondo gli stessi, che la sottile polverina del materiale cancerogeno veniva spruzzata via con una pistola ad aria compressa, che però spargeva i frammenti dappertutto. Questo insieme di cose pare abbia contribuito in presenza anche di cromo esavalente all’ aumento di leucemie e altri tipi di tumori. Si diede vita a numerose denuncie per riscattare la vita di tanti. Ad oggi, la Procura di Paola ha aperto un nuovo fascicolo di indagine sul caso della “fabbrica dei veleni”. Sette sono gli indagati e imputati nel processo d’ appello a Catanzaro, la cui sentenza è prevista per il prossimo 25 settembre. Si tratta di: Vincenzo Benincasa, Salvatore Cristallino, Ivo Comegna, Carlo Lomonaco, Attilio Ruisse, Silvano Stoner ed Ernesto Antonio Favrin. Tutti dipendenti, o direttori o consiglieri della Marlane, accusati di omesso controllo sulla sicurezza all’ interno dell’ ex fabbrica Marzotto, ed alcuni di loro sono chiamati a rispondere anche di delitto ed omicidio colposo.
Che venga fatta giustizia e al più presto. Lo si deve a chi ha sudato in quella fabbrica e che quindi per forza di cose ci ha rimesso il sangue. Che queste vittime vengano riconosciute sia dalla fabbrica stessa che dalle Asl come vittime di lavoro, è questo che ci facciamo anche noi tutti di PillaMaro.it.