“Lucio è morto di lavoro. Quella di Lucio è una morte bianca”. Così Simona Loizzo ha definito ieri a tarda sera a “Non è l’Arena” su La7 il suicidio del marito Lucio Marrocco, 56 anni, direttore dell’Unità operativa di Prevenzione e Protezione ambientale e responsabile della campagna vaccinale dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza che si è lanciato dal balcone al quinto piano della loro abitazione giovedì sera intorno alle 22,30 in via Alimena a Cosenza.
Secondo la donna, anch’essa dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera, la condizione di eccessivo stress, dettata dall’emergenza Covid, sarebbe stata la motivazione alla base della morte del marito. “Eravamo dei soldati, ma non avevamo le armi” ha detto la Loizzo, raccontando come il marito vivesse con grande impegno e passione la sua professione. “Lucio non era solo responsabile della campagna vaccinale – ha proseguito Simona Loizzo – ma era anche a capo della struttura complessa di sorveglianza sanitaria dell’ospedale dell’Annunziata. Fino a quel giorno aveva eseguito 10mila tamponi ed ogni dipendente che si contagiava, pochi per la verità, lui lo viveva drammaticamente. Ogni sera lui chiamava tutti i contagiati per chiedere come stessero”.
Non manca un riferimento alle condizioni di emergenza che si vivono nell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. “Lucio passava 15-16 ore in un ospedale che da 30 anni tutti definiamo vecchio… E come si fa a gestire la pandemia in un ospedale vecchio?”.
La stessa Loizzo ha negato la possibilità che suo marito possa essere stato minacciato o comunque avvicinato dalla criminalità organizzata in relazione alla vicenda de vaccini. Un riferimento, infine, anche alla loro vita: “Il 6 gennaio erano passati 30 anni dal nostro primo incontro. Eravamo due giovani medici e abbiamo deciso di tornare a Cosenza perché era più facile crescere i figli”.
“Si sentiva responsabile della sicurezza del personale che gli era stato affidato – ha aggiunto -. Aveva organizzato la campagna di vaccinazione, allestito i percorsi speciali, i posti covid nei reparti. Sentiva questa grande responsabilità e seguiva, uno per uno, i dipendenti. Aveva lavorato gratis per ben 1200 ore e aveva rinunciato ai fondi speciali riservati ai medici impegnati nella lotta alla pandemia. Era stanco e gli avevamo detto, con i figli, di dimettersi ma lui ci aveva risposto: “piuttosto mi uccido!”.
“Io credo che questa tragedia che ha investito la mia famiglia debba far riflettere tutti sul sistema sanitario regionale: da dieci anni, da quando è cominciato il commissariamento, tutto è peggiorato. Io ce l’ho con il sistema e penso che si debbano rivedere tante cose. La sanità deve essere affidata al presidente eletto dal popolo calabrese, espresso dalla democrazia. Io non ho niente contro i commissari ma oggi bisogna cambiare