Di Saverio Di Giorno
Tutta Italia è concentrata sull’Emilia senza capire che è sempre al sud che ogni potere ha affondato le sue radici. E non è mai morto veramente fino a quando non è morto al sud. Per raccontarlo servono le immagini. Queste raccontano molto più di pagine e pagine di inchieste. Le piazza piene di Vibo e Catanzaro. I 700 euro del prefetto di Cosenza. E il giudice Petrini che conta altri soldi, molti di più, in ufficio. Quello che le lega è la parola ‘poco’. In queste immagini c’è un contrasto enorme con l’inchiesta sull’Espresso che parla di trame invisibili, logge coperte. Tutto vero, ma qua in Calabria è tutto spudoratamente plateale.
Così sfacciatamente plateale che ai cittadini calabresi basta poco per capire quanto siano lunghi i collegamenti. E lo sanno perché esistono decine di denunce che dormono nelle procure. Informative sepolte. Ecco perché sono sfiduciati e silenziosi ed ecco perché, tutto sommato, è bastato poco per farli scendere in piazza con tutta la loro rabbia e disperazione, a lungo sopita. Così tanto che anche il terzo grado appare troppo. È bastato poco anche per incastrare il giudice: una telecamera in ufficio.
Perché lui i soldi se li conta in ufficio, non di nascosto o a casa propria. Questa è una verità che non rileva ai fini processuali, ma è una verità, sociologica quasi, che rimane scolpita. Racconta del clima di impunità e della sensazione di estrema intoccabilità nella quale si sentono immerse alcune persone. Sembra poco anche la presunta tangente pagata al prefetto di Cosenza. Una vicenda che tra l’altro lascia non pochi dubbi sull’effettiva spontaneità della denunciante persona, molto addentro alla prefettura e ai suoi ambienti. In realtà, anche in questo caso, il ruolo dei soldi è sociologicamente diverso: fare un atto illegale implica condividere un segreto e i segreti legano due persone. Questo regge l’impalcatura del potere calabrese: i segreti. Se tutti hanno segreti in comune nessuno può venir meno, altrimenti si tira giù tutti. Ed in questo sta la delicatezza e la pericolosità del momento storico. Ma perché sia chiaro serve un altro passaggio.
L’espresso pubblica anche una mappa di locali, ‘ndrine e logge coperte in Calabria. La provincia di Cosenza è illibata. Anche in questo caso, basta poco per intuire il contrasto stridente con quanto vivono i cittadini della provincia, un’isola tutt’altro che felice. Basta poco per avanzare sospetti su quanto accaduto negli ultimi anni nella provincia di Cosenza, sulle tante, troppe questa volta, indagini anomale. Ora, dopo il marzo 2018 e dopo lo scandalo Palamara (due momenti focali) qualcosa è iniziato a venire fuori. Sugli “omissis” dell’inchiesta Plinius e dell’inchiesta Nuova Frontiera a Scalea e a Diamante. Tanto per iniziare. I tanti appalti di Cosenza. E poi la Sibaritide. La procura di Catanzaro da una parte e quella di Salerno dall’altra hanno gli strumenti in mano per intervenire: le perquisizioni negli uffici del magistrato Luberto in un caso e l’inchiesta Passepartout (proprio su Cosenza) dall’altro. E qui torna il peso dei segreti e dell’impalcatura che reggono: se i sospetti di contaminazione saranno confermati bisognerà chiedersi cosa facevano le procure competenti portandosi dietro quindi altre persone.
Dopo tutto questo clamore, è ancora più urgente e necessario. Perché altrimenti peserà sempre il dubbio che sia stato un modo per colpire (giustamente) una parte politica. Che sarà stato solo, come si è scritto altrove, uno scambio di prigionieri. E questo non è solo un’ipotesi, ma un rischio concreto per una serie di motivi:
- Il sistema delineato dall’ultima indagine che passa tramite politici, presidenti di banche di credito cooperativo e giudici esiste simile anche a Cosenza ed è stato documentato.
- Molti protagonisti “graziati” da quelle indagini anomale sono nuovamente candidati personalmente o tramite loro figliocci politici.
- Alcune delle persone implicate in queste inchieste sono altrettanto implicate in altre questioni nel cosentino, uno su tutti Gentile, citato da uno stesso pentito come appartenente ad una loggia.
E il dubbio che sia un attacco unilaterale verso quel potere trasversale che ha governato finora sarà anche più noioso per lo stesso Gratteri che rischia di compromettere la reputazione che si è guadagnato sul campo, se si pensa ad alcune indelicatezze commesse dal magistrato, come una partecipazione ad una cena pagata con Salvini e altri e l’incontro, in campagna elettorale, sempre con l’ex ministro dell’interno.
Insomma, Salvini è stato chiaro. Vuole essere il primo partito in Calabria e per farlo deve liberarsi della vecchia guardia e dei vecchi ras che a quanto pare non riescono più a dare tutte le garanzie e i fondi come un tempo. Cosa che farebbe comodo a qualche boss. Ecco perché, in questo momento di debolezza interna, si apre un piccolo squarcio per andare fino in fondo. Ora deve essere chiaro anche Gratteri e non lasciare zone d’ombra e segreti per far insediare altri. Basta poco. Sia per riuscirci che per fallire.