L’indagine «eretica» di Bruno Giordano, la “falsa” demolizione della Cunski in India e quel fascicolo mai tornato a Paola.

di Francesco Donnici


LAMEZIA TERME Sono passati dieci anni dal ritrovamento del “relitto di Cetraro”. Una storia scandita da inchieste e smentite, dubbi ed ombre che ne fanno oggi più che una “nave dei veleni”, una nave carica di polemiche e querele. Di certo, quel 12 settembre 2009, sulla Calabria si sono accesi riflettori spentisi poi troppo in fretta e che, forse per questo, ci consegnano un’eredità scomoda, vicina e distante a tante “verità” in contrasto tra loro.

L’INDAGINE «ERETICA» DI BRUNO GIORDANO Per andare “a fondo” in questa storia, bisogna immergersi ad una profondità di 483 metri, a circa 11,8 chilometri a largo delle coste di Cetraro. Queste sono le coordinate riportate dall’allora procuratore capo di Paola, Bruno Giordano nell’audizione alla Commissione sul ciclo dei rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella il 22 settembre 2009. In quel preciso punto sarebbe stato trovato un relitto che secondo molti – compreso lo stesso Giordano – potrebbe essere la Cunski, una «nave dei veleni» carica di bidoni radioattivi, affondata nel contesto di un traffico internazionale di rifiuti che coinvolgerebbe non soltanto la ‘ndragheta, ma anche delle frange dello Stato e alcuni Stati esteri.
Nel 2003, Francesco Fonti, affiliato alla ‘ndrina Romeo di San Luca e collaboratore di giustizia dal 1994, inizia a parlare di «business dei rifiuti» e navi cariche di «bidoni radioattivi». In quell’occasione, Fonti darà le coordinate di tre navi affondate da lui in prima persona con l’ausilio della cosca Muto, egemone nella zona di Cetraro. Nella ricostruzione fornirà alcune caratteristiche di quelle specifiche navi. Il tempismo ed alcune sue ritrattazioni successive, non convincono gli inquirenti che ritengono inattendibile la sua testimonianza. Non Bruno Giordano che, insediatosi il 23 luglio 2008 alla Procura di Paola, decide di riprendere in mano quel fascicolo. Anche per questo, non per assonanza, ma per l’etimologia della stessa parola che sottende una scelta orientata alla ricerca della verità, nel suo “Cose storte”, Andrea Carnì lo definisce «un eretico».

Le immagini del relitto rov della “Nautilus”
E il 12 settembre 2009 un relitto viene trovato proprio nel luogo preciso indicato da Fonti. Il sopralluogo venne fatto grazie all’ausilio di un robot subacqueo (rov) messo a disposizione dalla società “Nautilus” di Vibo Valentia, in grado di scendere a 483 metri di profondità. Secondo molti, un passaggio, questo, favorito dall’intercessione dell’allora assessore regionale all’ambiente Silvio Greco: «È una leggenda metropolitana quella secondo cui io avrei individuato la Nautilus, società di mio fratello, per imbarcare il rov», dice però oggi Greco che rimarca comunque la stima per la persona e per il lavoro di Bruno Giordano.
La riprova di questa scoperta è contenuta in un filmato di circa 40 minuti mostrato successivamente dal procuratore. Nell’audizione, Giordano dirà: «Non abbiamo solo trovato la nave, l’abbiamo trovata sommersa con le modalità da lui (Fonti, ndr) descritte e con la fuoriuscita di due bidoni del tipo di quelli utilizzati per il trasporto di sostanze nocive da lui descritte».

QUESTIONE DI “COMPETENZA” Stante il presunto coinvolgimento della criminalità organizzata, il fascicolo d’indagine viene trasferito per competenza alla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Ma il caso, nel frattempo, ha fatto il giro del mondo. La Procura Nazionale Antimafia avvia un’indagine parallela che circa 47 giorni dopo quel 12 settembre, dopo le ricerche fatte dalla motonave “Mare Oceano”, verrà archiviata con tanto di pubblica dichiarazione del Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo e del Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso: «la nave ritrovata a largo di Cetraro non è la Cunski, ma il Catania». Prima ancora che le indagini della Procura di Catanzaro venissero chiuse, Grasso entra “in gamba tesa” in diretta tv affermando che «a Cetraro non c’è nessuna nave dei veleni». Si tratterebbe di una nave da guerra affondata nel 1917 le cui coordinate, però, non combaciano con quelle del relitto rinvenuto da Giordano.
Nell’audizione del 22 settembre, il procuratore parlò di un relitto sito a 11,8 chilometri dalle rive di

Mercantile Cunski comparato con la ricostruzione del relitto trovato dalla Mare Oceano
Cetraro. Il Catania sarebbe invece stato ritrovato ad una distanza di circa 11 miglia. Tra le due indicazioni c’è una distanza di diversi chilometri. Inoltre, i registri degli affondamenti della prima guerra mondiale, con riguardo all’affondamento del Catania, riportano coordinate diverse rispetto a quelle comunicate dalla “Mare Oceano”. Secondo l’accurata ricostruzione della Procura di Catanzaro, i mezzi utilizzati all’epoca non erano altrettanto precisi quanto quelli moderni. A ciò si aggiunga che il relitto potrebbe essersi spostato nel tempo anche per via delle correnti.

QUEST’INDAGINE S’HA DA ARCHIVIARE Permangono dubbi. L’allora assessore Greco non ricorda con particolare piacere quei giorni e le polemiche che ne seguirono anche sull’utilizzo del rov della “Nautilus” per le ricerche del procuratore Giordano. Allo stesso tempo e per altro verso, vale la pena riprendere alcuni passaggi del rapporto di Greenpeace “The toxic ships” del giugno 2010 dove si sottolinea che «il Ministero britannico della Difesa aveva offerto mezzi e personale qualificato a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto dai proprietari di Mare Oceano» per i rilievi effettuati nell’ambito dell’indagine della procura nazionale. Nel rimarcare che la Mare Oceano era una società di proprietà della famiglia Attanasio, l’associazione sottolinea: «La ragione per cui l’offerta britannica sarebbe stata rifiutata rimane ignota, così come i termini del contratto della Mare Oceano, mentre è noto che Diego Attanasio è coinvolto nel caso Mills-Berlusconi».
Oltre ai rilievi, ulteriore passaggio che favorì l’archiviazione fu quello secondo cui la Cunsky era stata demolita nel “cimitero delle navi” di Alang, in India. A seguito della rogatoria internazionale, si scoprirà però che non soltanto la Cunski non era stata demolita ad Alang, ma che – secondo quanto riportato nei registri navali indiani – quella nave non era mai transitata in quelle acque. Qualcuno avrebbe quindi dichiarato il falso, ma non sappiamo se a riguardo è stato un’indagine, contro chi e a quali risultati ha portato.
L’archiviazione della Procura Distrettuale del capoluogo, invece, arriverà solo nel 2011, ma il fascicolo stralciato in precedenza dalla Procura di Paola, non tornerà più alla base come da procedura. La Commissione sul ciclo dei rifiuti del 2018, nella relazione approvata il 28 febbraio torna su questo ed altri casi di navi “dei veleni” affondate in circostanze sospette sottolineando che «sulla base dello sviluppo ed approfondimento prodotto dalla presente relazione, la Commissione ha ritenuto possibili ulteriori accertamenti, basati in primo luogo sugli atti del procedimento penale n.1894/05 della Procura di Paola, la cui chiusura formale con l’archiviazione non esclude la possibilità di rinvenirvi tracce dei più estesi traffici qui affrontati». Per operare questi «ulteriori accertamenti», la Commissione chiede alla Procura di prendere visione degli atti, ma da Paola fanno sapere che quel fascicolo non è mai tornato indietro dalla Procura di Catanzaro. Di conseguenza: «La Commissione ha inviato una missiva al procuratore della Repubblica di Catanzaro, rinnovando la richiesta di esame degli atti rimasta ad oggi senza risposta». E tuttavia: «La chiusura della legislatura e il conseguente venir meno dei poteri d’inchiesta attiva della Commissione constringe pertanto a interrompere questo approfondimento». Ma dieci anni sono forse troppi per giungere ad ulteriori sviluppi di questo accertamento.

GLI INTERESSI IN GIOCO Tanti, troppi dubbi ed incongruenze ancora oggi fanno, di questo, un caso di cui appare più opportuno non parlare. Si arrossisce quasi nel pronunciare la parola “verità” accostata a questa vicenda, se non altro, per rispetto del lavoro di persone come lo stesso Bruno Giordano e Natale De Grazia prima di lui.

Manifestazione del 22 ottobre 2009
Il 22 ottobre 2009, il “Comitato civico Natale De Grazia” organizzò ad Amantea una manifestazione dove la società civile scese in piazza per avere verità e giustizia su questi casi che si trascinano dietro troppe scorie nocive. Ma sempre solo scorie. Qualche giorno prima, il 12 ottobre 2009, i pescatori di Cetraro bloccarono la ferrovia protestando contro il prolungarsi dell’attività d’indagine e per il conseguente «calo delle vendite di pesce sulla costa tirrenica, al punto da pregiudicare le famiglie che si reggevano con questa attività» – dichiareranno. «A Cetraro, dire pescatori significa dire clan Muto», aveva detto Giordano nella sua audizione. Per far fronte all’emergenza, Giuseppe Aieta ed Ernesto Magorno, allora sindaci rispettivamente di Cetraro e Diamante, promossero un incontro – come si leggeva in una nota dell’epoca – «rivolto a definire e valutare azioni comuni urgenti finalizzate a sollecitare l’intervento delle autorità governative». E così fu. Il nome dei due odierni componenti della giunta regionale ritorna nel 2018, in occasione del passaggio del giro d’Italia proprio a Cetraro, tappa nella quale la Regione Calabria aveva investito proprio per rilanciare quell’immagine turistica che in molti temevano essere infangata o avvelenata dalla presunta scoperta del 2009.

Nell’occasione, il giovane cronista Stefano Vizzato aveva fatto accenno al «ritrovamento, a largo delle coste di Cetraro, di una nave carica di 120 fusti di materiale radioattivo sulla base delle indicazioni del pentito Fonti» senza però accennare alle successive archiviazioni che, ad oggi, confutano questa storia. Lo stesso Mario Oliverio e l’attuale sindaco Aita erano insorti chiedendo le scuse pubbliche da parte della Rai e bollando la vicenda come quella della «bufala della nave dei veleni».

(redazione@corrierecal.it)

Fonte Corriere della Calabria