BELVEDERE MARITTIMO- di Mariarosaria Valente “La pietà popolare non è la fede semplice che non sa dire parole difficili, ma è un laboratorio tra la gente”. Ed è con queste parole che il prof. Carmine Materazzo, ordinario di Teologia pastorale della Pontifica facoltà teologica dell’Italia Meridionale, esordisce durante il convegno “Pietà popolare e pop- theology”, in occasione della pubblicazione del libro di Don Gianfranco Belsito” La pietà popolare come luogo teologico” tenutosi Sabato 27 Luglio alle ore 19:00 presso l’anfiteatro comunale di Belvedere Marittimo. Dinanzi ai relatori e ai moderatori dell’evento, un’intera comunità espansasi oltre i confini territoriali; un pubblico accorato e animato da fervore e partecipazione attiva, desideroso di conoscere, in qualità di figli di un popolo che per diritto (da un lato), per dovere (dall’altro), le origini più remote della loro identita culturale, irrorata di pietà popolare.
Ad intensificare l’interesse, oltre che a muovere le menti di chi ha assistito ad un ritorno temporaneo ai due giorni prima della Pasqua, è stato l’intervento musicale a cura di Antonio Cuda e Giuseppe Gagliardi, membri della confraternita dei “fratilli”, accompagnato dalle voci più storiche a quelle più recenti, con l’esecuzione dei tre canti più tradizionali del tiduo Pasquale belvederese: “Gesù mio con dure funi”, “Mio barbaro cuor”, Di mille colpe reo”.
A seguito dell’introduzione di Materazzo, intenso il lungo discorso di sua Eccelenza Reverendissima Monsignor Antonio Stanagliò che con fare spiccatamente ironico, ma al contempo concitato, si è soffermato sul concetto di libertà intesa come “obbedienza alla Legge Giusta”, ammonendo severamente il degrado delle nuove generazioni, oramai più dedite alle ubriachezze e ad una visione della vita non propriamente definibile sana. In qualità di coniatore della termine “pop-theology”, Stanagliò ha definito la pietà come “la chiave della teologia”, dando alla stessa teologia un significato pluridimensionale che si allaccia palesemente alla filosofia illuministica, inquadrandola pertanto nella concezione kantiana del logos, ossia di un vero e proprio pensiero a cui fece riferimento anche Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000 con l’appello: “Cristiani del nuovo millennio, usate la testa”. Sua Eccellenza non si discosta dalle conclusioni tratte dagli studi di Don Gianfranco, anzi, ne ha marcato l’accento, specie su quelle ragioni profonde, apparentemente ardue sotto il profilo razionale, che muovono il popolo a sacrificare il loro stesso corpo nel gesto di accollarsi il peso delle statue raffiguranti i misteri; ragioni che possono essere colte come “un gesto nel cui si vuole veder Cristo”. Altro punto nevralgico della riflessione di Stanagliò è stato quello di far chiarezza sulla concezione di statua quale idolo, non definendolo tale, ma semplicemente “icona”: se infatti l’”idolo è uno specchio invisibile” ed è l’elemento esclusivo dell’adorazione, “l’icona è lo specchio visibile”, dunque la rappresentazione concreta del divino che viene adorato. In conclusione, il Presidente della Pontificia Accademia di Teologia di Roma, non ha risparmiato l’evento da un plot twist con l’esecuzione di due canti (“Metti in circolo il tuo amore” di Luciano Ligabue e un lamento funebre in chiave “allegra”) al fine di riepilogare, in termini musicali, i temi dell’amore e della “pop-theology” sui quali si è concentrata l’intera relazione.
A seguire l’intervento di Sua Eccellenza Monsignor Stefano Rega che definisce “ una ricchezza e un patrimonio per noi” la pietà popolare, aggiungendo l’importanza dell’indagine sulle sue origini al fine di riscoprirla e valorizzarla.
In conclusione la breve ma intensa riflessione dal parte dell’ autore del testo promosso in occasione del convegno, Don Gianfranco Belsito, parroco presso la Chiesa “Maria Santissima del Rosario di Pompei” in via Lungomare, il quale ha ringraziato sentitamente “per la partecipazione attiva e il coinvolgimento”. Mosso dalla commozione, Belsito dedica a Don Ignazio Schinella (deceduto prima della depositazione del suo progetto di ricerca), con il quale ha discusso il tema da trattare: “Quando glielo chiesi, credevo non lo accettasse, ma al contrario mi incoraggiò molto e mi disse che tentare questa esperienza ne sarebbe vale pena”. Ringrazia poi la madre considerandola un po’ il motore della sua indagine, indagine che lo ha portato in un primo momento a “farsi discepolo” e successivamente “teologo che analizza in maniera critica” gli aspetti della pietà popolare mediante quelle “interviste qualitative” dai quali si colgono gli aspetti sociologi e antropologi dei riti.
“Il mio sogno è questo: che quando un sacerdote, entrando in una parrocchia trova una forma di pietà popolare, abbia il desiderio di studiarla. La mia passione per la pietà popolare nasce dalla possibilità di annunciare il Vangelo di Cristo da queste forme lontane da ciò che non viene considerato colto”.