Il 25 settembre prossimo, più o meno la metà degli elettori, secondo i sondaggi, eleggerà la totalità dei parlamentari decisi, in buona parte, da capi e sottocapi. Un’emergenza democratica al pari, se non più grave, di quella economica. Ribadisco più grave proprio perché da questo infausto meccanismo deriva la qualità dei nostri più alti rappresentanti istituzionali, quelli – per intenderci – che con le loro decisioni dovranno affrontare problemi complessi che riguardano la vita delle famiglie e dei cittadini.A questa dannosa dinamica non si è sottratto il Partito Democratico, il quale, proprio per evitare tali distorsioni, in passato aveva inserito nel proprio statuto lo strumento delle primarie. Tuttavia, praticare le primarie per deputati e senatori sarebbe stato troppo rischioso per le oligarchie che decidono chi quegli scranni dovrà occupare. Ed ecco che nei territori succede l’inverosimile: patti traditi anche alle nostre latitudini come le cronache ci raccontano, dirigenti ed iscritti tenuti lontano dalle decisioni, liste di proscrizione per coloro che non si sono mai omologati, scelte sganciate da criteri minimi di gradimento della base. Per non parlare della strategia politica: isolamento, incoerenza, vocazione minoritaria.La storia si ripete, prima l’anticraxismo, poi l’antiberlusconismo, addirittura l’antirenzismo ed oggi l’antimelonismo. Si chiama seduzione della rinuncia, ovvero la consapevolezza di non poter vincere le elezioni tranne, poi, accomodarsi attraverso giochi parlamentari com’è accaduto in tutti questi anni.È accaduto anche in Calabria dove per ben due elezioni regionali si è preferito perdere clamorosamente e a tavolino, evitare le primarie, cannibalizzare propri dirigenti facendo implodere una grande comunità democratica che nel 2014 aveva stravinto le elezioni.Discorso a parte per la linea politica: sembra di essere su una nave senza nocchiero in gran tempesta incagliati alla esasperata ricerca di auto conservazione. Un partito senza una linea chiara è un partito che non offre speranza perché – come scrive Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera – “tenere insieme chi vota contro il rafforzamento della Nato e chi si riconosce in una prospettiva occidentalista è indubbiamente piuttosto difficile”.Ma vi è di più! Da un partito autenticamente riformista e pienamente inserito nell’albero genealogico delle socialdemocrazie europee, ci si aspetterebbe maggiore coraggio nel rinnovare la sua classe dirigente. Anche qui registriamo contraddizioni che svelano la natura demagogica di alcune scelte. Da una parte la propaganda di grillina memoria nel presentare giovani under 35 e dall’altra la riproposizione di parlamentari alla sesta, settima o ottava legislatura. Né l’una, né l’altra appare una strategia convincente e vincente, intanto perché la politica dovrebbe essere come la scuola con i suoi gradi d’istruzione e di apprendimento al fine di evitare che un parlamentare non abbia frequentato neanche un consiglio comunale di periferia; e poi perché non è pensabile che vi siano parlamentari con una spinta innovativa e di visione ormai in via d’esaurimento.Nel momento più delicato dell’Europa e dell’Italia, dunque, il più grande partito dei riformisti avrebbe dovuto utilizzare maggiore coraggio tenendo uniti tutti quelli che si richiamano ai valori occidentali e democratici senza farsi vincere dalla sindrome del rancore. E invece è accaduto il contrario. Due casi eclatanti: Dario Vassallo, fratello del Sindaco Pescatore ammazzato dalla camorra, regalato al M5S dopo anni di battaglie per affermare la verità sulla morte di Angelo, Sindaco del PD; Marcello Pittella, già ottimo Governatore della Basilicata, vittima di una giustizia che distrugge le persone e le carriere, regalato al Terzo Polo.Non è così che funziona una comunità autenticamente democratica. Mancano il mutuo soccorso, lo spirito di appartenenza, la lealtà. Probabilmente nei casi menzionati esiste un non detto che si prova imbarazzo a palesare e che ha a che fare col garantismo, principio costituzionale la cui difesa, il PD, ha delegato agli altri come la vicenda referendaria ha dimostrato. Insomma, al momento non si intravedono ragioni forti per entusiasmarsi e sostenere una battaglia ideale e politica. La speranza è che queste elezioni sanciscano la definitiva presa di coscienza che al Paese serve un grande partito riformista, democratico, libertario e garantista. Non vi è dubbio che chi meglio interpreta la voglia di infiammarsi dei riformisti è la nuova forza che rappresenta il Terzo Polo di Calenda e Renzi. La manifestazione di Milano ne è la prova: tanti giovani, tante donne, tante famiglie unite dalla passione per l’Italia e per l’Europa. Chi si è formato alla scuola dei socialisti riformisti e liberali non può che augurarsi il successo di #ItaliaSulSerio e della lista #Calenda per evitare che la destra vada al governo e, soprattutto, che Mario Draghi termini l’eccellente lavoro che aveva iniziato.
Giuseppe Aieta, già Consigliere regionale e Sindaco di Cetraro