Di AMDuemila
Paolo Romeo, avvocato ed ex parlamentare del Psdi, ha ammesso per la prima volta dopo 42 anni di aver favorito Franco Freda (in foto), il terrorista nero condannato per le bombe del 25 aprile ’69 e gli attentati ai treni dello stesso anno, nella sua latitanza del 1979 a Reggio Calabria. Lo ha fatto nelle quasi nove ore di dichiarazioni spontanee nel processo “Gotha” in cui è il principale imputato. Già condannato per concorso esterno con la ‘Ndrangheta nel processo “Olimpia”, nell’ambito del quale era stato accusato anche di aver favorito la latitanza di Freda assieme alla cosca De Stefano, Romeo ha raccontato la sua versione spiegando il personale coinvolgimento e quello di altri nella fuga del terrorista che, all’epoca, era sotto processo a Catanzaro, per la strage di piazza Fontana che aprì la strategia della tensione in Italia. Romeo ha indicato nell’ex senatore Renato Meduri – che, ha detto, qualche anno fa ha rilasciato pure un’intervista, mai pubblicata, in cui racconta questa storia – come una delle persone che aiutarono Freda. Secondo Romeo, lui e Meduri erano stati contattati nel 1979 dall’amministratore di una tipografia di Villa San Giovanni con cui Freda aveva rapporti. “Era una mia vecchia conoscenza dai tempi dell’università – ha detto Romeo parlando del tipografo –. Aveva interpellato me e Meduri per chiederci se eravamo disponibili a dare ospitalità a un camerata in difficoltà. Siamo nel 1979 sul finire degli anni di piombo. E’ chiaro che in quel momento ci rendevamo conto di compiere un’illegalità. Per comprendere la nostra posizione bisogna immaginare cosa eravamo noi negli anni ’70. Da parte nostra, l’idea che Freda potesse sottrarsi al giudizio di un sistema politico che lo perseguitava, veniva vissuto come un gesto politico non come un atto illegale”. “Io e Meduri – ha aggiunto – andammo a Gioia Tauro al distributore di benzina. Questo signore dai capelli bianchi scende da una macchina, viene lasciato da 4 giovani che ritornano a Roma e lo portiamo a Reggio. Io mi faccio carico di dare ospitalità. Lo faccio in modo goliardico, non avevo idea di mantenere un latitante esplosivo. Si era fatto crescere i baffi e passeggiavamo pure sul corso Garibaldi. Addirittura un giorno gli presentai uno della Digos”. Stando al suo racconto, la permanenza di Freda sarebbe dovuta durare 15 giorni. Dopo 4-5 mesi, però, Freda era ancora a Reggio, ospite di Romeo. “Io – ha detto – due cose potevo fare: o buttarlo fuori o trovare una soluzione. Organizzammo il suo espatrio in Costarica. Chiesi questa cortesia a un mio cliente”. Era, ha spiegato, Paolo Martino, il boss dei De Stefano ritenuto il referente della cosca di Archi a Milano. “Martino acconsentì – ha ricordato Romeo – prese Freda per l’accompagnamento. Non lo fece subito ma chiese a Filippo Barreca di tenerlo 10 giorni. Barreca dopo 10-15 giorni scappa e non lo vuole più tenere a casa sua. Si rivolge a Melino Vadalà (deceduto, ndr) che si fa carico di tenerlo a casa sua e accompagnarlo al confine con la Francia. Posso affermare che Martino non ha mantenuto l’impegno che aveva preso”. Freda è stato poi arrestato in Costarica e secondo Romeo è stato il boss Filippo Barreca, poi diventato collaboratore di giustizia a “venderlo” alla polizia: “Barreca riferisce al dottore Canale Parola della questura che era nelle condizioni di far catturare Freda e gli disse che dovevano seguire me. Da quel momento venne messo sotto controllo il telefono mio e quello della moglie di Freda e riuscirono a trovare Freda. Se le cose stanno così, e il Tribunale può essere certo – ha concluso Romeo – dobbiamo fare i conti con la letteratura che c’è stata su questo tema. In tutta questa storia non ci sono né servizi segreti, né un’organizzazione eversiva ma si e’ trattato di un atto di solidarietà di alcuni militanti del Movimento sociale italiano”.