Di Saverio Di Giorno

In questi giorni gira in rete un video del 20 giugno nel quale il presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, colui che secondo la Commissione Antimafia è un impresentabile, dice la sua sul concetto di fascismo, razzismo e “xenefebia” (all’incirca la sua versione di xenofobia). In breve, l’impresentabile riesce a dire l’indicibile: il fascismo non era razzista ma a è stato accusato “volgarmente” di essere tale.
Il discorso inizia con l’impresentabile che cerca di spiegare cosa ne pensa di razzismo e “xenofebia”. Già qui un malizioso potrebbe pensare che questa parola lui l’abbia pronunciata forse troppe poche volte, ma non è detto, magari è proprio la sua conformazione facciale ad impedirgli di pronunciare chiaramente queste parole ed esprimere netta distanza. Tant’è che un discorso normale avrebbe dovuto essere questo: “mi si chiede cosa penso del razzismo e della xenofobia, ebbene, mi fanno schifo”. Invece no, dura quasi due minuti nei quali afferma di venire da una “cultura” (in questo modo definisce il fascismo) fascista. E nell’intermezzo dice: “ecco, guarda caso, il gioco delle parole”. Non si capisce però a quale gioco si riferisca.
Poi attacca con la solita retorica del fascismo che ha civilizzato l’Africa e che i Negus erano riconoscenti, dimenticandosi dei gas usati e delle tante angherie subite da quei popoli a causa del fascismo. Ma non è tanto questa rilettura storica già sentita, ma quanto il fatto che un uomo che siede nei banchi del governo regionale possa dire con tanta nonchalance che proviene da una “cultura” fascista e poi passare dei minuti a giustificare la politica imperialista. Questa cosa si avvicina incredibilmente all’apologia del fascismo, che è reato.
Ma c’è forse da sorprendersi? In Italia non è mai esistita una destra liberale che abbia avuto radici diverse da quelle del ventennio. La tradizione di destra in Italia ha poggiato le sue glorie (o le sue miserie) su personaggi provenienti da ambienti neri, da ex riciclati o missini. Per questo hanno difficoltà a prendere le distanze da Casapound o Forza Nuova e gli sgomberi delle loro sedi avvengono sempre con troppo ritardo. In altre nazioni tutto ciò non è avvenuto perché non gli è stato concesso. Ma può un tale impresentabile rappresentare la Calabria? Una regione che tramite i suoi ragazzi e soprattutto ragazze emigrate al nord, o in qualche caso partiti appositamente, ha versato sangue (troppo spesso dimenticato) nelle vene della Resistenza. Una regione trasformata dal fascismo (come tutte quelle meridionali), come terra di confino, cioè una terra degna degli scarti nella logica perversa del fascismo. E il signor presidente impresentabile dovrebbe invece rivendicare con orgoglio di aver accolto anime ribelli e disallineate, di essere stato il territorio di coltura dei pensieri e delle riflessioni di quei signori – al confino appunto – che poi avrebbero dato vita alla Costituzione. Ora se Pallaria è stato costretto alle dimissioni per la sua incompetenza (dichiarata) in materia, perché non dovrebbe dimettersi chi evidentemente non conosce la storia della sua Regione né i valori della sua Costituzione arrivando quasi a commettere un reato?
Ma bisogna forse sfatare anche un altro mito per capire perché i fascisti o i nostalgici hanno potuto da sempre riciclarsi dentro la classe dirigente fino ad oggi. Il fascismo, checché se ne dica, oltre ad essere razzista è stato anche mafioso. Non ha mai combattuto la mafia come si vuole far credere, ma l’ha in qualche modo “incamerata” affidando il controllo dei territori ai latifondisti e i padroni, da sempre in combutta con i mafiosi. I latifondisti hanno potuto così passare indenni ogni stagione, che sia stata monarchia, ventennio o repubblica. E il pensiero di avere aree e territori di proprietà è tuttora presente in tante concessioni date senza controlli, in inchini e zone dove il diritto è cancellato. E questa saldatura tra mafia e forze fasciste è proseguita fino agli anni ’70, durante i quali si sono verificati i moti di Reggio, sostenuti da forze estremiste. La stessa fuga di Freda (accusato della strage di Bologna) è avvenuta con l’aiuto della ‘ndrangheta. Fino agli ultimi anni, fino alla cupola masso-mafiosa di Paolo Romeo, avvocato con simpatie di estrema destra sotto la cui influenza, secondo la procura di Reggio Calabria, è cresciuto il potere di Scopelliti. I suoi sodali e vicini di partito siedono ora in Regione e negli ambienti vicini a Scopelliti ha trovato terreno fertile la campagna di Salvini. Quindi, signor presidente impresentabile prendere le distanze da quella che lei definisce “cultura fascista” significa prendere le distanze anche da quella mafiosa. Può o non può? O vogliamo sostenere che, guarda caso il gioco delle parole, i mafiosi non sono criminali, ma sono accusati volgarmente di essere tali?
Ma d’altra parte, lo dice chiaramente in chiusura del suo intervento: “questo è il nostro concetto di civiltà” – riferendosi alle politiche imperialiste africane. I gas, le privazioni, le violenze. Questo è il loro concetto di civiltà. E per questo chiama il fascismo cultura e non crimine. Ma non ce ne si può fare meraviglia visto che in questo stesso stato di “civiltà” sono tenuti i calabresi. E anche loro, come i Negus che salutavano con il saluto romano in segno di riconoscenza, votano in segno di riconoscenza.