L’argomento è ritornato d’attualità qualche giorno fa, quando il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, in una intervista a “Sono le venti”, il programma di Peter Gomez, ha rievocato il “fantasma” dell’ex capo dello stato Napolitano e delle sue ingerenze esercitate anche per bloccare l’arrivo di Nino Di Matteo al Dap. E Morra ha detto che il pm siciliano deve essere “inciampato” in qualche “intercettazione distrutta”. Non solo, ha detto anche di più, ricordando che qualcuno tempo fa aveva parlato di “copia”. E così siamo tornati indietro di qualche anno e abbiamo trovato quello che cercavamo.
Una copia delle quattro telefonate intercettate tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano potrebbe essere ancora in giro, gettando nuove ombre sul processo sulla trattativa Stato-Mafia. Come riporta Repubblica, ufficialmente quelle telefonate erano state distrutte nel vecchio carcere dell’Ucciardone il 22 aprile 2013. Il sospetto però che preoccupa il colonnello dei carabinieri, Pino D’Agata, è che una di quelle intercettazioni possa essere finita nelle mani dell’imprenditore Antonello Montante, ex dirigente di Confindustria. Il ministero della Giustizia ha avviato un’indagine interna per scoprire se e come sia stato possibile, visto che quella telefonata era custodita in una delle pen drive ritrovate in possesso di Montante il 14 maggio 2018, giorno del suo arresto a Milano.
Ad alimentare il sospetto è stata la testimonianza di Marco Venturi, uno degli imprenditori che ha rivelato dall’interno le relazioni più controverse di Montante, in particolare di una cena avvenuta nella “primavera del 2014”. Al ristorante dell’hotel Porta Felice di Palermo, seduti a un tavolo c’erano Montante, la sua amica Linda Vancheri, poi raggiunti dal colonnello D’Agata, all’epoca capo centro della Dia di Palermo, incaricato di seguire l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Durante la cena, Venturi racconta: “Ebbi modo di notare che D’Agata consegnava, in maniera furtiva e cercando di nasconderla alla vista, una pen drive al Montante”.
I magistrati di Caltanissetta avevano trovato riscontri della pen drive anche dal diario di Montante. Il dubbio che quella telefonata sia sopravvissuta alle distruzioni ufficiali emerge dallo stesso D’Agata, in più occasioni apparso nervoso e preoccupato. Soprattutto per un articolo di Libero, nel quale l’ex pm Antonio Ingroia il 9 novembre 2015 annunciava di voler rivelare i contenuti di quelle telefonate in un suo libro. D’Agata, intercettato nel corso delle indagini, è sempre più nervoso. Da quel momento scatta un giro di telefonate tra ufficiali dei servizi segreti e politici, come Renato Schifani, che poi avrebbero informato D’Agata. Intanto, aggiunge Repubblica, il capo dei Servizi, Esposito, aveva cercato di “avere notizie anche per quanto riguardava l’altra vicenda che vedeva coinvolto il D’Agata sulla duplicazione delle intercettazioni Mancino-Napolitano”. L’indagine arriva quindi al processo di Caltanissetta, dove sono imputati D’Agata, Schifani, il tributarista palermitano Angelo Cuva ed Esposito, accusati a vario titolo di aver “veicolato” informazioni segrete a favore di Montante.
Il resto è ancora da scrivere… (Iacchite.blog)