Al Policlinico per verificare se una donna ha formazioni tumorali è necessario attendere fino al ‪27 aprile 2021‬.
Questa la nuova denuncia del Codacons dopo la segnalazione indignata di una giovane donna, che si è vista rinviare di due anni per eseguire una mammografia.
Il cancro non aspetta – sostiene Francesco Di Lieto, vicepresidente nazionale dell’associazione – per questo motivo abbiamo presentato una denuncia visto che questo stato di cose impedisce l’accesso alle cure mediche, mettendo a repentaglio la vita del paziente.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Solo per fare un esempio, per una biopsia alla tiroide occorre attendere circa un anno.
Per questo motivo abbiamo deciso di denunciare questa incredibile vicenda che mette a rischio la sopravvivenza dei pazienti stante l’impossibilità di effettuare una diagnosi tempestiva.
Eppure la mammografia è un esame che, per legge, dev’essere eseguito, al massimo, entro 60 giorni.
Esiste, infatti, un Piano nazionale delle liste d’attesa, elaborato dal governo d’intesa con le varie regioni, che stabilisce le priorità e i tempi massimi per l’erogazione di esami, visite specialistiche …il tutto nel rispetto del diritto alla salute dei Cittadini.
A febbraio 2019 la conferenza Stato-Regioni ha approvato il nuovo piano per le liste di attesa e, da allora, le regioni avevano 2 mesi di tempo per adeguarsi.
Tuttavia la Regione Calabria non ha ancora inteso recepire il piano per migliorare l’accesso alle cure dei cittadini.
Manca, quindi, uno strumento capace di stabilire tempi certi per tutte le prestazioni ambulatoriali ed in regime di ricovero e per poter valutare i manager della sanità che, a fronte di risultati deludenti, dovranno essere rimossi.
Riteniamo sia doveroso chiedere l’intervento della magistratura – concludono dal Codacons – perché i malati hanno diritto a ricevere risposte immediate nonché una diagnosi celere. Attendere due anni per una mammografia finisce per certificare l’impossibilità di garantire il diritto alla salute nella nostra regione.
In questo modo si spingono o i pazienti a rivolgersi al privato – conclude Di Lieto – ovvero ad alimentare il triste quanto costoso, sia per i malati che per la Regione, fenomeno del turismo sanitario verso altre Regioni.

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