Calabria terra di nessuno
Questa regione è divenuta una zona franca al rovescio ove anziché godere dei privilegi ovvero dei benefici utili all’incremento della sua ricchezza sociale ad usufruirne sono soltanto i disonesti, gli incapaci e chi attraverso loro si arricchisce più o meno indebitamente
La Calabria sta diventando sempre di più il laboratorio ove si sperimentano le cose peggiori. La più recente sadica soluzione per una sanità da sempre morente è stato il decreto legge voluto dalla ministra Grillo. Sta facendo di peggio rispetto al dramma che c’era, supponendo di risolvere le cose con soluzioni inappropriate, tanto da registrare da subito il loro fallimento, con nessuno disposto sino ad oggi a fare da commissario straordinario alle aziende sanitarie esistenti (per solo modo di dire!).
Insomma, la cura di oggi si è dimostrata peggio della malattia, a tal punto da consigliare al Governo una saggia – ma immediata – marcia indietro, meglio una radicale revisione rispetto a quanto inopportunamente deciso con il DL 35/2019, convertito nella legge 25 giugno 2019 n. 60.
Una scenografia alla Dario Argento
Dieci anni di commissariamento della sanità sono, in buona sostanza, la continuazione di quanto è sempre accaduto in Calabria. L’appendice ulteriormente distruttiva di un saccheggio che ha portato ad un debito pregresso, accumulato dalla politica e accertato a tutto il 2008, equivalente ad un deficit patrimoniale di circa due miliardi di euro. Un buco enorme in gran parte ripianato con un mutuo trentennale, le cui rate gravano pesantemente sul bilancio regionale privato annualmente di cifre milionarie che avrebbero potuto generare ricchezza e lavoro.
Nessuna struttura ospedaliera è accreditata per difetto dei requisiti, con la conseguenza che dovrebbe essere ivi impedita ogni attività, altrimenti esercitata abusivamente nel silenzio totale dei preposti ai controlli ad ogni livello, che glissano sull’illecito.
Livelli essenziali di assistenza che i calabresi non sanno neppure cosa siano per non averli mai esatti, così come la Costituzione imporrebbe.
Morti colpevoli di malasanità e danneggiati in progressione geometrica, un massacro senza fine, ahinoi destinato ad incrementare con le assurde misure sancite dal decreto, umoristicamente, denominato salva-Calabria, che ha determinato vuoti gestionali ovunque irrintracciabili. Un risultato, quello dei danneggiati dalla malpractice sanitaria, che sta mettendo in crisi anche i rapporti assicurativi esistenti, tanto da suggerire alla compagnie di recedere, con il grave pericolo che potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni prodotti i diretti artefici del danneggiamento.
Aziende sanitarie, territoriali e ospedaliere, piene zeppe di debiti, molti dei quali ancora occulti. Peraltro, oggi acefale di ogni guida direzionale, grazie alla grandeur del decreto Grillo. Da sempre prive di un management specifico attrezzato delle dovute conoscenze in materia di gestione e di governo del bilancio. Uno strumento che altrove è riconosciuto come espressione di ciò che la governance è tenuta a fare per misurarsi, poi, con ciò che è riuscita a realizzare. Uno strumento che invece dalle nostre parti è ridotto ad un optional «generosamente» redatto dai manager più responsabili, ancorché pieno zeppo di strafalcioni alcuni dei quali dolosi, e omesso dalla gran parte.
Ciò che sembra un bollettino di guerra, la conta delle macerie da essa prodotta, non è altro che la «fotografia» di quanto accade in Calabria, in peggioramento progressivo rispetto a quanto analogamente cominciato nel passato più remoto.
Lo si sa, il pesce puzza dalla testa
Del resto, non poteva che essere così con una Regione da sempre insipiente, incapace e abituata ad usare la sanità come leva clientelare a dispetto dell’utenza, abbandonata a se stessa. Una Regione che approva i bilanci annuali consolidati, benedetti dalla Corte dei conti in sede di parifica, senza tenere conto di ciò che, per legge, dovrebbe fare in termini di conoscenza istituzionale del bilancio della salute. Una Regione che non può tirarsi fuori da ciò che accadeva e accade a Reggio Calabria, piuttosto che altrove in termini di gestione aziendale che hanno rasentato, di frequente, l’impossibile, l’inumano e l’illecito.
Una Regione che peggio di così com’è ridotta oggi è davvero inimmaginabile, ovunque e da parte di chiunque, dal momento che tollera colpevolmente (ma redige acriticamente il bilancio consolidato):
- l’Asp di Reggio Calabria senza bilanci da oltre tre anni;
- l’Asp di Cosenza che butta i soldi dalla finestra e non aggiorna i propri bilanci con le passività reali;
- l’Aou che non riesce da sempre a fare chiarezza del suo deficit patrimoniale verosimilmente monstre;
- le altre Asp che, di certo, non se la passano meglio.
Dati, questi, che dovrebbero essere oggetto di severe verifiche da parte del Giudice contabile (e non solo) che, si spera, arrivi presto ad una conclusione formale con in essa, ovviamente, rilevate le relative responsabilità, da troppo tempo trascurate.
Occorre una svolta, ma che sia reale
Tutto questo senza contare quant’altro si dovrebbe fare e non si fa, nonostante l’obbligo che si avrebbe di fare, per dare ai calabresi un contributo serio per alleviare le loro eterne sofferenze.
Da dieci anni il commissariamento della sanità è, di fatto, divenuto cronicamente complementare ad un tale generalizzato crudele bailamme, con la complicità di tutti i Governi che si sono succeduti dal 2008 in poi. Quelli che hanno prima imposto e poi preteso anche di confermare una inutile Agenas a prendere quattrini dalla povera Calabria e un advisor a fare altrettanto senza fare nulla. Con una rete di revisori che non ottemperano a ciò che devono, sulle cui defaillance nessun controllore, più o meno togato, ha deciso di mettere seriamente il dito.
Necessita che i cittadini divengano gli autentici decisori del loro destino
Insomma, la Calabria è terra di nessuno.
E’ divenuta una zona franca al rovescio ove anziché godere dei privilegi ovvero dei benefici utili all’incremento della sua ricchezza sociale ad usufruirne sono soltanto i disonesti, gli incapaci e chi attraverso loro si arricchisce più o meno indebitamente.
Concludendo, qui prevalgono il non governo della res publica e il godimento indebito di prerogative economiche da parte di chi «sverna» da decenni da queste parti non perché ci sia il sole bensì perché qui trova le solite complicità, anche di Stato, strumentali a guadagni altrove non conseguibili.
Il tutto, con i controllori istituzionali impegnati a fare altro, tranne che il loro dovere.
Nonostante ciò, c’è ancora chi si ripropone politicamente e chi si candida, senza capire alcunché di governo della cosa pubblica!
Il conoscere per decidere e il conoscere per deliberare sono distanti migliaia di miglia dai nostri confini. Si spera che non sarà così, a partire dal prossimo febbraio 2020, quando i cittadini dovranno esprimere il loro conoscere per un vivere che ne valga (davvero) la pena.
Ettore Jorio
Università della Calabria