SAN PIETRO DI AMANTEA (CS). LA SETTA.
Il 28 maggio del 1988 la polizia scopre a San Pietro di Amantea, un piccolo centro in provincia di Cosenza, una masseria trasformata in una specie di convento. Tutto farebbe pensare a una setta di fanatici, come tante altre. Il “Gruppo del Rosario”, era stato fondato alla fine degli anni ’70 dal santone Antonio Naccarato. Dopo la sua morte, nel 1983, il suo posto era stato preso dalla nipote Lidia.

Negli ultimi anni la setta pregava e invocava la resurrezione del fondatore, con riti propiziatori e una processione al giorno in una grotta dove gli adepti si riunivano per meditare. L’ennesima storia di fanatismo religioso, si pensava. In paese tutti sapevano, ma facevano finta di niente. Le cose sono però precipitate quando un uomo si è presentato all’ospedale di Cosenza per farsi curare alcune ferite, tra le quali forse un colpo di pistola di striscio. Alla polizia ha dapprima raccontato di essere stato colpito nel corso di un tentativo di rapina. Poi invece ha raccontato della comunità di San Pietro di Amantea, lasciando intendere che in quel luogo si erano consumati ben altri delitti. La polizia ha fatto irruzione nella masseria e ha trovato 35 persone, tra le quali la santona Lidia, riunite intorno ad un tavolo coperto da una tovaglia bianca sulla quale spiccavano un quadro della Madonna e una foto del santone Antonio. Gli adepti, apparentemente in estasi, sudati e scalzi, si tenevano per mano, recitavano strane preghiere e giravano intorno al tavolo. Ma le vere sorprese sono arrivate durante la perquisizione: in uno stanzino è stato trovato un uomo, incaprettato e poi finito a colpi di pistola. In altre stanze un vero e proprio arsenale, pistole, fucili, migliaia di cartucce e quasi un miliardo di lire tra contanti, assegni circolari e depositi bancari. Ma anche una foto del piccolo Marco Fiora, rapito a Torino. Proprio nella Torino dove, si è scoperto in seguito, la setta contava addirittura altri 800 seguaci. Dell’omicidio del giovane trovato nello sgabuzzino si è auto-accusato uno dei membri del gruppo, ma il mistero non è stato ancora completamente chiarito.
La strega a capo della sede ad setta con Amantea ed operante a Torino. Più attendibile la spiegazione del professor Michele Del Re, grande studioso di sette e di “Nuove religioni”.

“La colonia calabrese di Torino è estremamente ampia e viva e ha trasferito gran parte delle sue tradizioni al Nord. Tra queste anche l’usanza delle comunità rurali dove il prete conviveva senza troppi problemi con la strega del paese, senza che mai il potere di uno interferisse con quello dell’altra”. Del Re cita l’esempio della strega di Amantea, una donna, a suo modo, affascinante che fu condannata perché in casa sua fu trovato un uomo morto per le torture subite durante un rito. “La sede della setta era in Calabria ma gli adepti erano tutti torinesi di adozione”. (Il mondo delle sette – Di Massimo Lugli, da Polizia Moderna, n. 1-2, Febbraio 1998).
Le sette sono organizzazioni chiuse a sfondo religioso con risvolti catastrofici, sessuali, diabolici e pseudo-messianici. Ogni setta prevede il totale annullamento della personalità e dell’intelligenza. Alla base di coloro che vi aderiscono c’è molta ignoranza, alimentata da grosse difficoltà relazionali causate dalle sofferenze da cui non sono riusciti a venire fuori. L’appartenente alla setta, riveste di religiosità qualunque idea. Secondo questo spirito non ammette critiche e si isola nel suo mondo. Cadendo nel settarismo, l’individuo perde qualsiasi razionalità, diventa ottuso e violento. Si abbruttisce e passa la vita in un mondo surreale. Crede di essere libero mentre è l’unico schiavo. E’ difficile potere uscire dalle sette. Coloro che ne sono venuti fuori, dopo lunghe riabilitazioni psicologiche, ne rimangono segnati per sempre…

La vicenda negli anni ha alimentato polemiche e molti dubbi. Riportiamo un articolo di giornale de “La Repubblica” del 29 Maggio 1988

La sacerdotessa e i suoi fedeli hanno punito un traditore” “Siamo di fronte a una autentica organizzazione criminale”, spiega il magistrato, “una setta che aveva anche altri interessi”. Si parla di spaccio di droga, di rapimenti e di legami con le cosche mafiose

S. PIETRO IN AMANTEA Una setta di fanatici; messe nere e riti satanici; un morto ammazzato con un rituale che non ha niente di occulto e ricorda invece le peggiori esecuzioni mafiose, il ritaglio di un giornale con la foto del piccolo Marco Fiora, un arsenale fatto di fucili, pistole e migliaia di cartucce, un bel mucchietto di milioni disponibile (quasi un miliardo tra contanti, assegni circolari e depositi bancari) ma soprattutto la certezza degli inquirenti che la sacerdotessa, volitiva e dotata di grande carisma, arrestata con 34 adepti fosse a capo di una organizzazione che aveva solo fini criminali. La scoperta della sanguinaria comune in una impervia località dell’ Appennino paolano, dove una vecchia masseria era stata trasformata in una specie di monastero, è accompagnata da tanti misteri e tanti interrogativi ma anche da alcune certezze.

Siamo in presenza di una organizzazione criminale, dice il sostituto procuratore della Repubblica di Paola, Luigi Belvedere, che si copriva con la storia della setta, della comunità di preghiera, ma che invece aveva ben altri interessi. Quali? Si parla di commercio di stupefacenti e qualcuno ricorda che già anni fa un adepto della setta venne trovato in possesso di droga. E si parla anche di possibili legami con le cosche dedite ai sequestri. Il danaro ritrovato, infatti, potrebbe essere provento di rapimenti, forse anche di quello di Marco Fiora, il bambino torinese da oltre un anno prigioniero, si dice, in una prigione sull’ Aspromonte. A San Pietro in Amantea, poco più di 800 abitanti, un piccolo povero paese in provincia di Cosenza che sorge a due passi dal Tirreno su un crinale tra le bassi valli del fiume Oliva e del torrente Licetto, la gente è, in maggioranza dalla parte della santona e del suo gruppo. Per noi erano brave persone, afferma il sindaco Francesco Guzzo, gente che non ci aveva dato mai alcun fastidio. Ma c’è un morto, trovato in uno sgabuzzino della masseria con la porta saldata, un morto incaprettato e finito con una dozzina di colpi di pistola che getta ombre misteriose su tutto. Non riusciamo a capire come sia potuto avvenire che un uomo sia stato ucciso in una maniera così orribile. Forse c’è stata qualche infiltrazione esterna, spiega ancora il sindaco Guzzo il quale ‘ giustifica’ il possesso del miliardo da parte della setta dicendo che in quella masseria lavoravano tutti come muli e ricevevano molte offerte dai fedeli. Gli inquirenti però la pensano diversamente. E la storia degli apostoli di Cristo, come il Gruppo del Rosario si autodefiniva, e di ciò che è accaduto nel cascinale di contrada Moschicella è di quelle che a prima vista fanno intravedere scenari truci, inquietanti vicende di malavita sull’asse Torino-Calabria su cui si sta appuntando l’ attenzione di polizia e carabinieri da diversi giorni. Al centro di tutta la vicenda c’ è lei, Lidia Naccarato, 36 anni, buona cultura (afferma di essere laureata), forte personalità, dotata secondo molti di poteri medianici, erede spirituale predestinata già dalla nascita dello zio, Antonio Naccarato, morto nel 1983 (ma per qualcuno sarebbe addirittura ancora vivo). Santo Nenio, questo era il nome con cui era conosciuto in paese, aveva fondato la comunità una decina di anni orsono, non appena tornato al paese da Torino, dove svolgeva l’ attività ufficiale di commerciante ambulante di scarpe e quella segreta di capo di una setta che attendeva la resurrezione di Cristo e che negli anni invece pregava e invocava quella del santone: lo faceva con riti propiziatori e preghiere, con una processione al giorno, alle sette di sera, quando, in una grotta dove in vita egli si ritirava a meditare, gli adepti (tra cui anche medici e altri professionisti) portavano sigarette Muratti e bottiglie di wiskj. Tutto è cominciato la sera di giovedì scorso quando un uomo si è presentato, ben vestito e ben curato, al pronto soccorso dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Aveva una ferita al volto, leggera, forse un colpo di pistola, forse una pugnalata di striscio. Si chiama Lorenzo Tommasicchio, ha 39 anni, venditore ambulante, originario di Bari e residente a Torino. Alla polizia dapprima ha detto di essere stato ferito in un tentativo di rapina. Poi invece ha raccontato della comunità di S. Pietro in Amantea, ha lasciato intravedere che in quel luogo si erano consumati e si stavano per consumare altri delitti. Polizia e carabinieri sono andati in contrada Moschicella: all’ ingresso della masseria, appeso e sventrato, un gatto biondo (a simboleggiare, secondo il giudice Belvedere, che l’ eliminazione di Tomasicchio doveva essere portata comunque a termine) e dentro, in un grande salone, attorno a un tavolino coperto da una tovaglia bianca sulla quale spiccavano un quadro della Madonna e una foto incorniciata del santone Antonio, una trentina di persone. Apparentemente in estasi, sudati e scalzi – racconta uno degli investigatori – tutti si tenevano per mano, recitavano strane preghiere e giravano attorno al tavolo. Lo scopo del rito era quello di far resuscitare Antonio Naccarato: la nipote Lidia, che ogni giorno faceva portare al cimitero viveri per lo zio defunto, aveva fatto credere che con le preghiere era possibile. La sacerdotessa non faceva parte della catena umana. Era in un’ altra stanza, in trance (almeno così dice chi l’ ha vista), vestita con un lungo abito bianco e sdraiata su un lettino. Quasi quasi gli agenti si stavano per scusare dell’irruzione. Poi qualcuno ha notato una porticina in lamiera, saldata e ha pensato di forzarla per dare uno sguardo nella stanza. E dentro c’ era un uomo, un giovane, incaprettato e quindi eliminato a colpi di pistola, poi identificato per Pietro Latella, 27 anni, nato in Francia da genitori calabresi, residente a Torino. Nella serata di ieri è corsa voce che non sarebbe questa la sua vera identità. C’ è il sospetto che si possa trattare non del giovane conosciuto a Torino soprattutto per le sue opere di carità, ma di una persona che doveva essere un teste importante in un processo. Stiamo indagando anche su questa voce, spiega il giudice Belvedere, ma non abbiamo per ora alcun motivo di ritenere che si tratti di un’ altra persona. L’ uccisione di Latella, di cui si è autoaccusato un membro della setta (gli inquirenti ritengono però che a sparare siano stati almeno in tre), sarebbe stata decisa e portata a termine come rito propiziatorio per la risurrezione di Antonio Naccarato? Così forse avrebbe voluto far credere la nipote arrestata che avrebbe spinto il gruppo alla vendetta contro un traditore. Ma il giudice Belvedere, che ha già interrogato gran parte degli arrestati (tutti accusati di concorso morale e materiale in omicidio e tentato omicidio) ritiene di avere prove tali da poter affermare che l’ eliminazione di Latella è nata da motivi di contrasto tra il gruppo calabrese e il gruppo torinese della setta che aveva come fine primo, anche se occulto, una attività criminosa ancora da chiarire. A capo dell’organizzazione c’era lei, Lidia Naccarato, ma chi faceva parte del governo, strumentalizzando l’attività pseudoreligiosa della setta per coprire illecite attività? Secondo il magistrato inquirente questo qualcuno potrebbe essere anche tra le persone arrestate. Ma indagini si stanno effettuando su tutti gli 800 seguaci torinesi e su un altro gruppo di adepti che si riunisce a Pagani in provincia di Salerno. E il ruolo di Tommasicchio? Per il magistrato è ancora tutto da chiarire. Di quale gruppo faceva parte? Chi l’ ha ferito? Forse dopo il suo interrogatorio se ne potrà sapere qualcosa di più. Per ora Tommasicchio è piantonato in una stanzetta al quinto piano dell’ ospedale di Cosenza. Ben quattro carabinieri impediscono a chiunque di avvicinarvisi senza permesso del magistrato: neppure la biancheria intima che gli hanno portato i familiari gli è stata consegnata.

Oggi l’attualitá parla di un probabile rito satanico nel cimitero di Amantea, dove sono stati ritrovati resti di animali sgozzati e sezionati e fiori.

Gli inquirenti stanno indagando ancora, per verificare l’origine ed il significato di tali efferati gesti.

È ancora presto per gridare al pericolo di nuove sette sataniche, ma la storia insegna, e non va dimenticata.