Di Alessandro Pagliaro
Il film televisivo “Duisburg-Linea di sangue”, andato in onda sulla Rai mercoledì scorso, ha suscitato numerose e ingiustificate polemiche. Primo tra i detrattori della fatica del regista Enzo Monteleone, è stato il presidente della Calabria, Mario Oliverio, che ha criticato la rappresentazione stereotipata della regione che lui governa “densa di luoghi comuni, banalità e frasi fatte”. Nella lettera “indignata” indirizzata ai vertici all’azienda televisiva di Stato, Oliverio cade nella retorica opposta, arrivando a sostenere “che ancora una volta si è contribuito a proiettare una immagine sommaria e inaccettabile, perché non corrispondente alla realtà della Calabria e dei calabresi”. Facendo le dovute proporzioni, sembra di rivivere i tempi in cui nel dopoguerra, Andreotti censurava “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica, perché a suo dire, il “neorealismo” dava una immagine distorta dell’Italia all’estero. “Duisburg” è un prodotto di fiction dei nostri tempi per il grande pubblico, che sta un gradino sotto “Gomorra” e Suburra”. E se tanto mi dà tanto, a proposito di queste due serie, allora cosa avrebbero dovuto dire i napoletani e i romani, le cui città nella finzione sono state rappresentate come l’inferno urbano della criminalità a quelle latitudini? Ancora una volta in Calabria viene fuori il provincialismo di chi critica il dialetto improbabile parlato dai protagonista della storia, che si svolge tra San Luca, la Germania e l’Olanda. Ancora una volta si dimentica la storia del nostro cinema e in particolare di quello di genere, rappresentata negli anni ’70 da pellicole che avevano per scenario mafioso la Sicilia, come “Il boss”, “Baciamo le mani”, “La padrina”, dove la lingua di quell’isola veniva adattata dal doppiaggio in sala per il pubblico del continente. E che dire del “napoletano” dei film di Mario Merola come “Il Mammasantissima” o “Napoli, serenata calibro 9”? Neanche la location è andata bene, perché molte scene sono state girate in Puglia. Anche in questo caso nessuno è memore che i western all’italiana come quelli di Sergio Leone, e i suoi sottoprodotti, venivano girati nelle campagne romane. Anche se l’esempio più illustre è quello di Pier Paolo Pasolini, che per il “Vangelo secondo Matteo” scelse i sassi di Matera in Basilicata al posto della terra di Palestina. Fin qui le contraddizioni, di chi si erge a paladino della Calabria “laboriosa” e che si oppone con forza alla ‘ndrangheta. Passando poi sul versante più “tecnico” della critica cinematografica, fa specie sentire le voci, come quella di Jole Santelli che afferma che “Duisburg” sia una lavoro “orrendo che ha cagionato enormi danni di immagine alla Calabria”. Di certo, non è un capolavoro da David di Donatello, ma l’esperta regia di Enzo Monteleone, che ha collaborato in passato con Gabriele Salvatores, e Carlo Mazzacurati; l’impegno e la bravura degli attori protagonista; la musica di Plivio e Scalzi, e la sceneggiatura di Claudia Fava, ne fanno un prodotto dignitoso che non meritava dalla Calabria una critica così violenta.