La vicenda ricorda un po’ quella delle sigarette elettroniche, prima salutate come una felice alternativa al fumo vero e dannoso, poi considerate all’improvviso anch’esse pericolose, con conseguenze pesanti anche su chi aveva deciso di venderle. Lo stesso per la cannabis legale, diffusa ormai in tutta la penisola con decine di negozi aperti in tutte le città e poi bollata come probabilmente pericolosa dal Consiglio superiore di sanità, che ha invitato il ministero della Salute a valutare la chiusura dei punti vendita dove si trova la marijuana legale, con grande plauso del Moige (Movimento italiano genitori) da sempre schierato sulle peggiori posizioni conservatrici.
Intendiamoci. La moltiplicazione impazzita dei negozi che vendevano sigarette elettroniche, così come quelli che oggi vendono cannabis “leggera” – un affare sul quale si sono gettati in centinaia cogliere l’affare al volo – personalmente mi fa anche una certa tristezza: ormai più che volantini per la pizzeria ti allungano per strada quasi esclusivamente dépliantpubblicitari dei negozi di canapa, una proliferazione che spinge soprattutto a pensare alla fame di lavoro del nostro Paese, dove magari si dedica a queste attività chi ha una laurea in tasca e un curriculum di disoccupazione nel cassetto. E tuttavia non appare molto sensato autorizzare la vendita di un prodotto, lasciando che la gente (venditori ma anche agricoltori) investa decine di migliaia di euro in un progetto e poi dichiararlo all’improvviso probabilmente dannoso, con tutto quello che ne consegue.
Il punto, tuttavia, punto non è solo (certamente) la protezione degli esercizi commerciali – se un prodotto fa male, fa male – ma la sostanza della richiesta del Consiglio superiore di sanità che non esclude la pericolosità di questi prodotti, costituiti da infiorescenze di canapa. Ad esempio secondo l’Associazione Luca Coscioni, che difende i diritti dei malati ad avere alleviato il dolore, la legalizzazione della cannabis va nella direzione indicata da una letteratura scientifica, letteratura che sta spingendo la stessa Organizzazione mondiale della salute a declassificare la pericolosità della marijuana nelle tabelle internazionali. A sentire gli esperti, inoltre, non esiste in alcun modo quella correlazione tra l’uso di questi prodotti e il passaggio a droghe pesanti, come in molti vorrebbero far credere. Lo stesso Umberto Veronesiportò avanti una battaglia per la legalizzazione di oppiacei e cannabinoidi contro il dolore, criticando invece uno Stato che lucra senza vergogna su una droga che uccide decine di migliaia di persone ogni anno, cioè la sigaretta.
E questo è il problema. Se vogliamo parlare di sostanze che fanno male alla salute, non possiamo farlo senza confrontarle con altre sostanze dannose che sono invece totalmente legali, nonostante distruggano centinaia di migliaia di esistenze ogni anno. La lista sarebbe lunghissima. Alcol,ovviamente, sigarette – sulla quali lo stesso stato guadagna mentre le persone muoiono di cancro al polmone (sempre più anche donne, tra l’altro) – ma anche lo stesso cibo spazzatura, tema completamente ignorato dalle nostra istituzioni sanitarie con la conseguenza di avere una percentuale di bambini in sovrappeso e obesi tra le più alte d’Europa.
Bisognerebbe poi anche ricordare ai cittadini che ci sono alimenti considerati addirittura benigni (prosciutto crudo, vitello etc) sono invece – come dichiarato dallo Iarc(International Agency for research on Cancer) – in un importante documento del 2015, probabilmente cancerogeni per l’uomo. Altro tema su cui si tace per proteggere allevamenti e allevatori.
Ma la vera ipocrisia si svela soprattutto quando confrontiamo i presunti danni della cannabis con quelli provocati non solo dalle droghe e dalle droghe da sballo – sui cui non c’è alcuna forma di prevenzione né azione di contrasto, come il mensile Millenium ha mostrato nello speciale in edicola questo mese – ma anche dagli psicofarmaci di cui nessuno parla: nessun dibattito pubblico, nessun intervento governativo né campagna sociale di sorta. È un tema che mi sta molto a cuore, perché gli psicofarmaci sono vere e proprie droghe a tutti gli effetti e possono avere conseguenze devastanti sia quando se ne abusa sia quando li si usa sotto indicazione medica.
Milioni di italiani li prendono, ingerendo dosi sempre più massicce e incontrollate di ipnotici, benzodiazepine, antidepressivi ma anche di antipsicotici e regolatori dell’umore. Gli psichiatri, che hanno dimenticato ogni forma di terapia esistenziale e della parola, oggi non sono altro che dottori che assegnano terapie farmacologiche (spesso con diagnosi incerte) perché la malattia mentale non si “vede” e spesso anche quando il paziente potrebbe risolvere il problema altrimenti. Paziente che poi diventa dipendente dal farmaco, biologicamente e psicologicamente, e non riesce più smettere (sul tema della sospensione degli psicofarmaci segnalo tra l’altro un importante libro dello psichiatra statunitense Peter Breggin, La sospensione degli psicofarmaci, Giovanni Fioriti editore, traduzione della farmacologa Laura Guerra).
Ma gli psicofarmaci si danno oggi anche ai bambini. Rimando ad altra sede un approfondimento sul tema, mi limito a segnalare il caso della presunta sindrome da Adhd (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività). Gli esperti sono totalmente divisi sull’utilizzo di farmaci nei minori, farmaci che hanno conseguenze molto pesanti su organismi non ancora sviluppati. Eppure l’Istituto superiore di Sanità si dichiara a favore. Da un lato, insomma, si accetta che bambini sostanzialmente normali e che dovrebbero essere curati in tutt’altro modo prendano psicofarmaci, dall’altro si invoca la chiusura di negozi che vendono cannabis leggera.
Una contraddittorietà e direi schizofrenia delle nostre istituzioni sanitarie che non può che provocare un certo disagio. Pensiamo prima all’alcol, alle sigarette, al cibo spazzatura, agli psicofarmaci per gli adulti e, peggio, ai bambini. E dopo, casomai, ai punti vendita di marijuana. Sarebbe certamente meno ipocrita ma soprattutto ben più importante per la salute di tutti.
Il fatto quotidiano